Sicurezza pubblica – Informativa interdittiva – Nei confronti del socio di un’impresa – Ambito di applicazione – Circoscritto agli imprenditori ed enti d’impresa – Difetto di legittimazione passiva – Accoglie.
ECLI:IT:TARVEN:2023:1168SENT
Pubblicato il 08/08/2023
- 01168/2023 REG.PROV.COLL.
- 01007/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1007 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Acerboni, Massimo Leva e Gianluca Scalco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio Francesco Acerboni in Mestre, via Torino 125;
contro
Ministero dell’Interno e -OMISSIS-, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege, con sede in Venezia, San Marco 63;
per l’annullamento
- a) del provvedimento di informazione interdittiva antimafia-OMISSIS- decretava che la società -OMISSIS- ed il sig. -OMISSIS-, socio della società medesima, sono interdetti ai sensi degli artt. 84, comma 4, 91, comma 6 e 89 bis, del d. lgs. n. 159/2011 e s.m.i.;
- b) del medesimo provvedimento del-OMISSIS-, avente analogo contenuto dispositivo a quello di cui al precedente punto a), come acquisito dai ricorrenti nella sua integralità della motivazione in data -OMISSIS-, a seguito di istanza di accesso agli atti presentata in data -OMISSIS-;
- c) nonché di ogni ulteriore atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’-OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2023 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- -OMISSIS- e il socio di questa (per la metà delle quote), sig. -OMISSIS-, hanno impugnato il provvedimento in epigrafe descritto, con cui il -OMISSIS- decretava per entrambi l’interdizione ai sensi degli artt. 84, comma 4, 91, comma 6 e 89 bis, del d. lgs. n. 159 del 2011.
Il provvedimento era motivato all’esito di un’articolata istruttoria dalla quale era emerso “un quadro indiziario complessivo dal quale deve ritenersi attendibile l’esistenza di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni con la criminalità organizzata, tali da condizionare le scelte dell’impresa in questione”. In particolare, dette connessioni avrebbero dovuto essere riferite al legame intessuto con la famiglia-OMISSIS- che rappresenterebbe, a sua volta, “un satellite della famiglia mafiosa ‘-OMISSIS-’, costituendo una propaggine sul territorio veronese degli affari criminali da questa gestiti”, come sarebbe emerso all’esito di numerose indagini penali. Il padre dell’amministratore della società, del resto, all’epoca del gravame risultava imputato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e a tale titolo detenuto in regime di custodia cautelare in carcere nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione denominata “-OMISSIS–OMISSIS-”.
- Entrambi i ricorrenti contestavano, sul piano meritale, la ricostruzione dei fatti operata dalla Prefettura lamentando la mancanza dei presupposti giuridico-fattuali per l’adozione della misura. Sotto altro profilo, in relazione alla sola posizione del socio, sostenevano nel secondo motivo come quest’ultimo, quale persona fisica, non potesse essere attinto dal provvedimento. Egli non rivestirebbe infatti la qualifica di imprenditore commerciale, e detta qualifica costituirebbe il necessario prerequisito per la pronuncia dell’interdittiva nei confronti delle persone fisiche.
- Costituitasi in giudizio, l’Amministrazione ha resistito nel merito e in rito, eccependo, sotto quest’ultimo profilo, che la società risulta cancellata dal registro delle imprese a far data dal -OMISSIS-, (come da visura depositata in giudizio -OMISSIS-).
La cancellazione di una società dal registro delle imprese determinerebbe l’estinzione dell’ente e, quindi, la cessazione della sua capacità processuale, dal che conseguirebbe l’improcedibilità del ricorso (limitatamente alla società) per carenza di interesse.
- Raggiunto dall’avviso di perenzione ultra-quinquennale, il sig. -OMISSIS-, in data 31 gennaio 2022 depositava rituale istanza di fissazione d’udienza, ai sensi dell’art. 82 cod. proc. amm.
- Chiamata quindi all’udienza pubblica del 19 aprile 2023, la causa veniva trattenuta in decisione.
- In via preliminare, deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso, limitatamente alla società ricorrente, estinta e conseguentemente cancellata dal registro delle imprese già a partire dal -OMISSIS-. Venuta meno la soggettività della compagine societaria, e cessata l’impresa, risulta caducato anche l’interesse alla decisione del gravame rispetto all’impresa medesima, alla quale non potrebbe pervenire (non essendo più esistente) alcuna residua utilità nel caso di accoglimento.
Nel contempo, si deve precisare che l’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese non pregiudica la procedibilità della contestuale domanda di annullamento proposta dal socio -OMISSIS-, potendo la stessa essere separata da quella proposta dalla società medesima, vertendosi, a ben vedere, di impugnazioni collettive aventi ad oggetto un provvedimento produttivo di effetti soggettivamente scindibili, così da consentire la separazione delle cause.
Il socio, del resto, ha provveduto al deposito della domanda di fissazione d’udienza debitamente sottoscritta dalla parte, ai sensi del successivo art. 82, manifestando, in tale sede, la permanenza dell’interesse alla decisione del ricorso.
- Nel merito, il ricorso, limitatamente alla posizione di -OMISSIS-, è fondato in riferimento al secondo motivo di impugnazione, il cui carattere assorbente consente di prescindere dalle restanti censure.
Sostiene il socio, odierno ricorrente, che, ai sensi dell’art. 85 del d. lgs. n. 159 del 2011, l’interdittiva possa essere pronunciata soltanto nei confronti di imprese (e, quindi, di persone giuridiche, ovvero, al più, di imprese individuali), e non anche di persone fisiche in quanto tali, come si è verificato nella presente fattispecie.
La censura è suscettibile di favorevole apprezzamento.
Va innanzitutto premesso che, di norma, “gli amministratori e i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento” (così, Cons. St., A.P. 28 gennaio 2022, n. 3), dal momento che esso non produce effetti diretti riguardo a tali figure soggettive, ma soltanto effetti indiretti e riflessi (quali, ad es., il minor valore della partecipazione societaria in capo al socio derivante dalla contrazione dell’attività dovuta all’impossibilità di acquisire commesse pubbliche) che non permettono di far emergere una posizione di interesse sufficientemente differenziata, tale da consentire l’impugnazione in via autonoma.
Tale conclusione non può essere chiamata ad operare nel caso di specie, poiché l’interdittiva di cui è causa è stata direttamente pronunciata anche nei confronti del socio della società, come traspare dall’inequivoco dato testuale rinvenibile nel provvedimento impugnato, che dirige gli effetti della misura sia alla società, sia – ed è ciò che viene contestato attraverso la censura in esame – alla persona fisica (la quale non è stata meramente notiziata dell’avvenuta emissione dell’interdittiva, ma da essa è stata direttamente coinvolta e pregiudicata).
La misura, tuttavia, può essere pronunciata esclusivamente nei confronti delle imprese, siano esse persone giuridiche o ditte individuali, ovvero dei soggetti tassativamente nominati nel citato art. 85, tra i quali non sono però comprese le persone fisiche che rivestano la carica di amministratore della società interdetta o che, quali meri soci, vi detengano una partecipazione.
In merito, una recente pronuncia (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 15 aprile 2022, n. 284) ha ben evidenziato che:
“– il sistema della documentazione antimafia, delineato nel d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice antimafia), si basa sulla fondamentale distinzione tra la comunicazione antimafia (artt. 87-89) – richiesta per l’esercizio di qualsivoglia attività dei privati soggetta ad autorizzazione, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi, segnalazione certificata di inizio attività e c.d. silenzio assenso -, consistente nell’attestazione, nei confronti dei soggetti individuati dall’art. 85, della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 (art. 84, co. 2); e l’informazione antimafia (artt. 90-95), operante nei rapporti dei privati con le pubbliche amministrazioni (es. contratti pubblici, concessioni e finanziamenti), che consiste oltre che nella medesima attestazione inerente alle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67, altresì “nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4” (art. 84, co. 3);
– la documentazione antimafia, secondo quanto disposto dall’art. 83, co. 1, dev’essere obbligatoriamente acquisita da tutte le pubbliche amministrazioni, enti pubblici e altri soggetti pubblici, “prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67”;
lo stesso art. 83 enuclea nel comma 3 alcune tassative eccezioni all’obbligo in questione, disponendo, tra l’altro, che la documentazione antimafia “non è comunque richiesta … per la stipulazione o approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale e attività di lavoro autonomo anche intellettuale in forma individuale” (lett. d);
– l’art. 91, infine, con specifico riferimento all’informazione antimafia, riconosce al Prefetto la possibilità di estendere “gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa” (co. 5), consentendo, inoltre, di “desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata” (co. 6)”.
Pertanto “il dato positivo emergente dalle citate disposizioni che disciplinano il sistema della documentazione antimafia sembra univocamente orientare nel senso che l’informazione antimafia interdittiva possa essere applicata esclusivamente nei confronti delle imprese, in qualunque forma siano costituite, e non anche nei confronti dei privati che svolgano attività professionali, non organizzate in forma di impresa, e di lavoro autonomo ‘anche intellettuale in forma individuale’”.
Nel confermare tale decisione, rafforzandone le conclusioni, il Consiglio di Stato – adito in sede d’appello – ha inoltre precisato che “il principio di tassatività – che deve regolare l’esercizio del potere (in punto di ricognizione dei possibili destinatari del provvedimento interdittivo) – impedisce che l’incapacità giuridica relativa recata dal provvedimento afflittivo di cui si tratta possa essere – per soggetti non contemplati come destinatari dalla disposizione attributiva del potere – un effetto non espressamente previsto dalla legge, ma desunto per implicito da un’interpretazione sistematica (peraltro, come si dirà, ancorata a parametri disomogenei, quali il valore e l’oggetto dei contratti) che comporti la conseguenza dell’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della stessa.
Il principio di legalità impone inoltre che nell’esegesi di una simile disposizione il dato letterale non venga superato, in senso afflittivo e limitativo delle libertà dei soggetti interessati, da un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione non espressamente contemplata dal legislatore” (Cons. St., Sez. III, 2 marzo 2023, n. 2212).
Alla luce degli indirizzi richiamati, va dedotto che l’informazione antimafia (consistente nell’attestazione della sussistenza o meno delle cause di decadenza, sospensione o di divieto di cui all’art. 67, d. lgs. n. 159 del 2011 nonché di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività dei privati), è normativamente prevista solo per gli imprenditori, come si desume sia dal riferimento (contenuto nell’art. 84, comma 3, d. lgs. n. 159 del 2011) a “società o imprese”, sia, soprattutto, dall’elenco tipizzato dei soggetti sottoposti a verifica antimafia indicato nell’art. 85, il quale contempla unicamente gli imprenditori individuali (comma 1) e gli enti che svolgano attività di impresa (comma 2).
In questo senso, è stato del resto affermato che “non si rinviene […] nella normativa, il riferimento all’adozione di informazioni interdittive nei confronti di persone fisiche non imprenditori” (T.A.R. Valle d’Aosta, 29 settembre 2022, n. 46).
Si deve dunque concludere che l’informativa di cui è causa non avrebbe potuto essere formulata nei confronti del socio, non essendo ravvisabile il necessario ulteriore presupposto (la qualifica di imprenditore commerciale) e non essendo percorribile, quand’anche per via analogica, alcuna estensione del perimetro soggettivo della misura, pena la violazione del principio di tassatività.
- Per quanto precede, il provvedimento impugnato va quindi annullato, in accoglimento del secondo motivo, nella sola parte in cui esso è riferito alla persona di -OMISSIS-, con assorbimento di tutti i restanti profili di censura.
Limitatamente a -OMISSIS- deve essere dichiarata, come anticipato, l’improcedibilità del gravame.
Le spese di lite vanno compensate in considerazione della particolarità della vicenda esaminata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– lo dichiara improcedibile quanto a -OMISSIS-;
– lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, quanto a -OMISSIS-.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023 con l’intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Nicola Bardino, Primo Referendario, Estensore
Filippo Dallari, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Nicola Bardino | Maddalena Filippi | |
IL SEGRETARIO
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