TAR Napoli, sez. I, sentenza 9 giugno 2023, n. 3569; Pres. V.Salamone, Est. G.Esposito.
ECLI:IT:TARNA:2023:3569SENT
Contratti pubblici – Informativa interdittiva – Parentela – Responsabile tecnico compagna e figlia di soggetti controindicati – Rilevanza – Presunzione di conoscenza in capo all’amministratore – Tangente – Recesso dal contratto – Incameramento cauzione – Legittimità – Respinge.
Pubblicato il 09/06/2023
- 03569/2023 REG.PROV.COLL.
- 03830/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3830 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Ceceri e Antonio Nardone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso il loro studio in Napoli alla Riviera di Chiaia n. 207;
contro
– Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, Ministero dell’Interno, ANAC Autorità Nazionale Anticorruzione e Ministero della Transizione Ecologica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli alla Via A. Diaz n. 11;
– -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cristoforo Vinci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Salvatore Napolitano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Stefania Pagano, Emilio Pregnolato, Danilo Parvopasso, Sara Pagliosa e Massimo Calì, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
–OMISSIS- non costituita in giudizio;
nei confronti
-OMISSIS-., non costituita in giudizio;
per l’annullamento
– (quanto al ricorso introduttivo)
- a) del provvedimento interdittivo antimafia n. -OMISSIS- della Prefettura U.T.G. di Napoli in data 2 luglio 2021, notificato in data 5 luglio 2021 con nota prot. n. -OMISSIS-;
- b) di tutti gli atti – di contenuto non noto – costituenti l’istruttoria del procedimento culminato con l’adozione del provvedimento e, in particolare, del verbale n. -OMISSIS- del Gruppo Ispettivo Antimafia;
- c) del verbale di sospensione totale dei lavori adottato da -OMISSIS-, relativamente all’appalto rep. n.-OMISSIS-
- d) del verbale di sospensione totale dei lavori adottato da -OMISSIS-, relativamente all’appalto rep. n.-OMISSIS-
- e) della comunicazione di immediata sospensione dei lavori trasmessa dal Responsabile del procedimento, a mezzo p.e.c., e del successivo annullamento degli ordini non ancora eseguiti, adottati da -OMISSIS-, relativamente all’appalto rep. n. -OMISSIS-
- f) della comunicazione di annullamento di aggiudicazione, e della successiva nota di conferma dell’annullamento, adottata da -OMISSIS-., relativamente all’appalto suddiviso in lotti per lavori di natura edile finalizzati all’assistenza verso i professionisti incaricati da -OMISSIS- per la verifica di stabilità delle facciate e delle coperture degli edifici/siti di -OMISSIS- e delle Società del Gruppo, Lotto 5 Sicilia, e della relativa segnalazione all’ANAC ai sensi dell’art. 213, co. 10, del d.lgs. n. 50/2016, trasmessa da -OMISSIS-.;
- g) della comunicazione di recesso trasmessa da -OMISSIS-., relativamente all’accordo quadro n. -OMISSIS-;
- h) della comunicazione di recesso trasmessa da -OMISSIS-., relativamente all’accordo quadro n. -OMISSIS-;
- i) della comunicazione di recesso trasmessa da -OMISSIS-., relativamente all’accordo quadro n.-OMISSIS- e relativo quinto d’obbligo accordo quadro n. -OMISSIS-
- l) della comunicazione di esclusione dalla procedura di gara inerente l’appalto ai sensi del d.gs. 50/2016 per l’istituzione di un Accordo Quadro suddiviso in 14 lotti per l’esecuzione di lavori di natura prevalentemente edile a ridotto impianto ambientale da eseguirsi negli immobili di -OMISSIS-. e delle società del Gruppo, Lotti non cumulabili, e della relativa segnalazione all’ANAC ai sensi dell’art. 213, co. 10, del d.lgs. n. 50/2016, trasmessa da -OMISSIS-.;
- m) della comunicazione di sospensione dall’Albo Fornitori trasmessa da -OMISSIS-.;
- n) della comunicazione di annullamento della aggiudicazione, nonché della relativa determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- con la quale è stato disposto siffatto annullamento della aggiudicazione, trasmesso dal Comune di Milano, relativamente all’appalto n. -OMISSIS-e della relativa segnalazione all’ANAC ai sensi dell’art. 213, co. 10, del d.lgs. n. 50/2016 trasmessa dal Comune di Milano;
- o) del provvedimento adottato dal Comune di Milano con il quale è stata disposta la decadenza dall’iscrizione nell’elenco di operatori economici;
- p) della comunicazione del diniego all’istanza di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali di cui all’art. 212, co. 8, del d.lgs. n. 3/2006, trasmessa dal Presidente della Sezione regionale della Campania dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali e della relativa deliberazione della Sezione regionale della Campania del-OMISSIS- con la quale è stata rigettata la predetta istanza;
- q) della comunicazione trasmessa dall’ANAC con la quale si dava atto dell’avvenuta segnalazione dell’informazione interdittiva antimafia n.-OMISSIS- emessa nei confronti dell’odierna ricorrente e dell’inserimento nel casellario informatico della relativa annotazione;
- r) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi della ricorrente;
con richiesta di condanna alla reintegrazione in forma specifica, ai sensi degli artt. 30 e 34 c.p.a., ripristinando lo status quo antecedente all’adozione del provvedimento interdittivo, mediante l’affidamento dei lavori residui, per quanto riguarda i contratti di appalto oggetto di recesso e/o sospensione dei lavori;
– (quanto ai motivi aggiunti depositati il 10/6/2022)
- a) del provvedimento del Direttore Generale di -OMISSIS- Milano n. -OMISSIS- comunicato in data 3 maggio 2022;
- b) della determinazione dirigenziale del Comune di Milano n. -OMISSIS-, comunicata in data 14 aprile 2022;
- c) del provvedimento prot. n. -OMISSIS- del Presidente della Sezione regionale della Campania dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali (e della relativa deliberazione della Sezione regionale della Campania del 10 marzo 2022 ivi richiamata), comunicato in data 6 maggio 2022;
- d) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi della ricorrente;
con richiesta di condanna alla reintegrazione in forma specifica, ai sensi degli artt. 30 e 34 c.p.a., ripristinando lo status quo antecedente all’adozione del provvedimento interdittivo, mediante l’affidamento dei lavori residui, nonché di declaratoria dell’inefficacia dei contratti di appalto eventualmente stipulati medio tempore dalle stazioni appaltanti in conseguenza all’annullamento di aggiudicazioni e/o risoluzioni – recessi dai contratti in essere;
– (quanto ai motivi aggiunti depositati il 22/12/2022)
- a) del provvedimento di conferma dell’interdittiva (n. -OMISSIS-/2021) prot. n. -OMISSIS- notificato in pari data alla ricorrente, adottato dalla Prefettura U.T.G. di Napoli;
- b) di tutti gli atti – di contenuto non noto – costituenti l’istruttoria del procedimento culminato con l’adozione del provvedimento e, in particolare, del verbale n.-OMISSIS- del Gruppo Ispettivo Antimafia;
- c) del provvedimento adottato da -OMISSIS- Milano (mai trasmesso alla ricorrente e la cui adozione è stata comunicata alla ricorrente con missiva p.e.c. del 18 novembre 2022) con cui è stata disposta la risoluzione del contratto rep. -OMISSIS-– lotto 21, la escussione della relativa polizza fideiussoria stipulata ai sensi dell’art. 103 del d.lgs. n. 50/2016 e la esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi che verranno bandite dall’Azienda, nonché dalla possibilità di essere affidataria di subappalti e dalla possibilità di stipulare i relativi contratti, per la durata di tre anni;
- d) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi della ricorrente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, del Ministero dell’Interno, dell’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione e del Ministero della Transizione Ecologica, dell’-OMISSIS- -OMISSIS-, di -OMISSIS-. e del Comune di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2023 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Nell’ambito delle attività di prevenzione antimafia sulle attività esercitate in base ad autorizzazioni amministrative, nei confronti della Società ricorrente venivano svolte verifiche che, sulla scorta della proposta del Gruppo Ispettivo Antimafia, hanno condotto all’emanazione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, con cui è stata rinvenuta la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Società, ai sensi degli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011.
La ricorrente insorge avverso l’interdittiva, denunciando la violazione delle citate norme e l’eccesso di potere sotto plurimi profili, nonché la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e delle garanzie partecipative, dell’art. 7 della legge n. 241/90, anche in relazione agli articoli 84 e 89-bis del d.lgs. n. 159/2011, e dell’art. 93, co. 7, dello stesso d.lgs.; con altro motivo è dedotta l’illegittimità propria e in via derivata dei provvedimenti e delle determinazioni consequenziali al provvedimento amministrativo, per violazione dell’art. 32, co. 10, del D.L. n. 92/2014, convertito in legge n. 114/2014, e dell’art. 92, co. 2-bis, oltre che per incompetenza e per eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, arbitrarietà e illogicità.
Si sono costituiti in giudizio la Prefettura, i Ministeri e l’ANAC, nonché l’-OMISSIS- e il Comune di Milano.
La Prefettura e il Comune hanno adempiuto all’ordinanza presidenziale del 22/9/2021 n. 1110, con cui è stato disposto il deposito dei richiamati atti.
Con motivi aggiunti depositati, rispettivamente, il 10/6/2022 e il 22/12/2022 sono stati impugnati gli ulteriori provvedimenti indicati in epigrafe, tra cui la conferma dell’interdittiva.
Si è costituita in giudizio anche -OMISSIS-
Le parti hanno prodotto scritti difensivi e la ricorrente ha rinunciato alla trattazione dell’istanza cautelare che, all’udienza in camera di consiglio dell’11/1/2023, è stata cancellata dal ruolo, fissando l’udienza pubblica per la trattazione nel merito.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie.
All’udienza pubblica del 15 marzo 2023 la causa è stata assegnata in decisione.
DIRITTO
1.- La controversia concerne l’impugnativa dell’interdittiva antimafia del -OMISSIS-, unitamente ai provvedimenti delle Amministrazioni che vi hanno fatto seguito (ricorso introduttivo e primi motivi aggiunti), nonché la conferma dell’interdittiva prot. n. -OMISSIS- (secondi motivi aggiunti).
I provvedimenti avversati con il ricorso introduttivo, emanati dalle Amministrazioni evocate in giudizio, hanno disposto:
– la sospensione dei lavori appaltati dall’-OMISSIS- Milano e l’annullamento degli ordini non ancora eseguiti;
– l’annullamento dell’aggiudicazione da parte di -OMISSIS-., le comunicazioni di recesso dagli accordi quadro e l’esclusione dalla procedura di gara e dall’Albo Fornitori;
– l’annullamento dell’aggiudicazione del Comune di Milano e la decadenza dall’iscrizione nell’elenco degli operatori economici;
– il diniego di iscrizione del Presidente della Sezione regionale della Campania dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali;
– l’inserimento nel casellario informatico dell’ANAC della segnalazione dell’informazione interdittiva antimafia;
I motivi aggiunti investono gli ulteriori provvedimenti impugnati, a valle dell’interdittiva:
- a) la risoluzione del contratto rep. -OMISSIS-, escussione della garanzia definitiva ed esclusione della ricorrente mandataria, per la durata di anni tre, dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi nonché dalla possibilità di
essere affidataria di sub-appalti (provvedimento del Direttore Generale di -OMISSIS- Milano n. -OMISSIS-);
- b) l’aggiudicazione alla -OMISSIS-dell’appalto n. -OMISSIS- dopo l’annullamento dell’aggiudicazione in favore della ricorrente (determinazione dirigenziale del Comune di Milano n. -OMISSIS-, comunicata il 12/4/2022);
- c) la cancellazione dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali (provvedimento prot. n. -OMISSIS- del Presidente della Sezione regionale della Campania dell’Albo, comunicato il 6/5/2022, e relativa deliberazione della Sezione regionale della Campania del 10/3/2022).
2.- La Società ricorrente ha quale socio e amministratore unico il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- ed alla gestione tecnica è preposto l’arch. -OMISSIS-OMISSIS-.
L’originaria interdittiva muove dagli elementi di valutazione del Gruppo Ispettivo Antimafia che, con verbale n. -OMISSIS-, ravvisava la sussistenza di elementi di controindicazione per la Società ricorrente, derivanti dalla vicenda concernente l’appalto ad essa aggiudicato dal Comune di Sant’Antimo in data 19/10/2015, per la realizzazione della fognatura e della strada di -OMISSIS-.
Nel verbale è riportato il contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere n. -OMISSIS- nella quale è fatto riferimento all’indicazione del -OMISSIS- da parte di -OMISSIS-, per le somme di denaro da corrispondere da tal -OMISSIS-OMISSIS-, per i lavori la cui realizzazione era stata curata dalla responsabile dell’U.T.C. del Comune, indagato per associazione mafiosa e reati contro la Pubblica Amministrazione.
È esplicitata l’esistenza di accordi criminosi “attraverso cui manipolare, in cambio di denaro, le gare d’appalto bandite dal Comune di Sant’Antimo”, figurandovi soggetti “quale elemento di trait d’union con-OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, laddove comunque il primo aveva avuto pregressi rapporti con il clan -OMISSIS-”, che “a loro volta, erano i fiduciari dei titolari, reali e occulti, delle imprese verso cui dovevano essere pilotati i lavori pubblici e che avevano messo a disposizione una consistente somma di denaro, “prezzo” da pagare per ottenere quanto desiderato”.
Con specifico riferimento alla Società ricorrente è detto che:
– “alla-OMISSIS- risulta come preposto alla gestione tecnica ai sensi del D.M. -OMISSIS-l’architetto-OMISSIS-compagna di -OMISSIS- (che è anche la figlia di -OMISSIS- -OMISSIS-) [entrambi imputati per i delitti di cui agli artt. 56, 110, 353 e 416-bis c.p.];
– “-OMISSIS- pentito del clan -OMISSIS-, ha dichiarato che i lavori nel 2015 furono assegnati alla “-OMISSIS- gestita da due cugini di -OMISSIS- (-OMISSIS- e-OMISSIS-) che avrebbero versato una tangente di 60 mila euro divisa tra i figli di-OMISSIS–OMISSIS-, […], esponenti del clan -OMISSIS-”.
3.- Con le censure articolate nel ricorso introduttivo (riproposte nei motivi aggiunti), è contestata la ricorrenza dei presupposti per far luogo all’interdittiva, è dedotta inoltre la violazione delle garanzie procedimentali e sono criticati, infine, gli effetti dell’interdittiva sugli affidamenti in favore della Società o sulla sua partecipazione alle gare pubbliche d’appalto.
Con i primi motivi aggiunti è dedotta, altresì, l’illegittimità dell’incameramento della garanzia definitiva per il contratto di appalto rep. -OMISSIS-, disposto dall’-OMISSIS- Milano.
I secondi motivi aggiunti riguardano, come detto, la conferma dell’interdittiva.
L’esame delle censure va condotto a partire dal ricorso introduttivo.
3.1. Con il primo motivo si sostiene la labilità degli elementi riferibili alla Società ricorrente, ossia:
- a) la sussistenza di rapporti dell’amministratore unico con soggetti gravati da pregiudizi penali, nonché i rapporti personali e parentali del responsabile tecnico con i soggetti imputati;
- b) il coinvolgimento della Società nelle vicende giudiziarie, accertato attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia descritte “in maniera oltremodo confusionaria”, senza tener conto che il -OMISSIS- non è indagato.
Sul primo aspetto, la ricorrente afferma che il -OMISSIS- non era a conoscenza dei predetti rapporti personali o parentali del responsabile tecnico, così censurando l’automatismo che si farebbe derivare dalla sua nomina, per desumere l’esistenza di rapporti diretti tra l’amministratore unico e i soggetti indagati.
È inoltre affermato che manca qualsiasi accertamento sull’effettiva ingerenza della criminalità organizzata nella gestione dell’attività di impresa.
Quanto al coinvolgimento della Società ricorrente nelle vicende giudiziarie, è rimarcata l’inattendibilità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, soprattutto laddove riferisce che essa è gestita dai due cugini -OMISSIS- e-OMISSIS-, mentre l’unico amministratore è -OMISSIS- -OMISSIS- (non -OMISSIS-, non legato da alcun rapporto di parentela con il-OMISSIS-).
Si aggiunge che neppure l’Autorità giudiziaria ha dato credito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, in quanto l’amministratore unico non è stato destinatario di alcun provvedimento né in altro modo coinvolto nelle indagini.
3.2. Con il secondo motivo è addotto che gli inconsistenti elementi indiziari ingeneravano l’obbligo di attivare il contraddittorio procedimentale, al fine di consentire all’interessato di produrre le informazioni e documenti utili a far valere la totale estraneità della Società ai fatti contestati.
3.3. L’ultimo motivo evidenzia che, fermo restando il carattere doveroso degli atti delle varie Amministrazioni, consequenziali all’interdittiva, gli stessi sono stati adottati prima che il Prefetto desse corso alla verifica obbligatoria della possibilità di far ricorso alle misure che consentirebbero la prosecuzione dei rapporti, in base a quanto previsto dall’art. 32, co. 10, del D.L. n. 92/2014, convertito in legge n. 114/2014.
3.4. Il ricorso introduttivo non è meritevole di accoglimento.
Giova riepilogare i consolidati indirizzi della giurisprudenza amministrativa, la quale ha ritenuto che:
– l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste;
– non occorre la prova dell’infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata;
– detti elementi vanno considerati in modo unitario e non atomistico, rilevando nel loro complesso, poiché una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri;
– l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività d’impresa;
– il mero decorso del tempo non smentisce quindi la persistenza di vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi;
– l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha difatti una stabilità e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile;
– la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del “più probabile che non”, cosicché gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, di tal che la valutazione discrezionale del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.
L’accertamento del Prefetto poggia dunque sul delineabile rischio di permeabilità ai voleri della criminalità organizzata, senza che sia richiesta la prova del fatto (cfr. riassuntivamente, per tutte, la sentenza di questa Sezione del 18/2/2022 n. 1115: “l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova dei fatti, ma solo la presenza di una serie di indizi – letti ed interpretati unitariamente – in base ai quali non sia illogico né inattendibile dedurre la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste”).
Infatti, non si esige una verifica dei fatti, che è richiesta nell’ambito del processo penale, estranea alla misura prefettizia di prevenzione antimafia, la cui legittimità va vagliata in base al ridetto giudizio probabilistico (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 28/6/2022 n. 5375: “per consolidata giurisprudenza, la prognosi inferenziale che fa da sfondo al pericolo infiltrativo dell’attività dell’impresa monitorata da parte della criminalità organizzata non deve rispondere ai canoni probatori propri del processo penale, attesa la diversa finalità – sanzionatoria in un caso, preventiva nell’altro – dei due sistemi di tutela dei valori ordinamentali. Mentre infatti l’applicazione della sanzione penale presuppone l’osservanza di uno standard probatorio ispirato al criterio secondo cui la commissione del reato deve ritenersi accertata “oltre ogni ragionevole dubbio”, l’emanazione della interdittiva presuppone la sussistenza di elementi sintomatici che, per la loro serietà e convergenza, inducano a ritenere “più probabile che non” la fattispecie di condizionamento mafioso”).
Operata questa esposizione, alla luce delle tracciate coordinate ermeneutiche il ricorso si palesa infondato.
3.4.1. L’interdittiva impugnata si è giustificatamente basata sugli elementi da cui è stata tratta, in maniera appropriata, la prognosi di condizionamento criminale della Società ricorrente.
Assume significativo rilievo la preposizione alla direzione tecnica dell’arch. -OMISSIS-OMISSIS-, compagna di -OMISSIS- e figlia di -OMISSIS- -OMISSIS- (entrambi imputati, in concorso, per il delitto tentato di turbata libertà degli incanti e associazione a delinquere di tipo mafioso: reati annoverati tra i cc.dd. reati-spia: art. 84, co.4, lett. a), del. d.lgs. n. 159/2011), “al fine di agevolare le attività del clan camorristico -OMISSIS-” (cfr. note 1 e 2: pag. 3 del provvedimento impugnato).
L’inserimento dell’arch. -OMISSIS- nei gangli della Società conforta il giudizio probabilistico sulla sospetta contaminazione con ambienti criminali, accompagnato dall’evidenziazione del ruolo che la Società stessa sembra aver assunto nel favorire gli affari del clan camorristico, come indicato dal collaboratore di giustizia, con riferimento alla tangente di 60.000 € versata (cfr. pag. 5 del provvedimento).
Tali elementi indiziari non sono controvertibili, con l’affermare che l’amministratore non fosse a conoscenza dei rapporti personali e parentali del responsabile tecnico e, inoltre, che il collaboratore di giustizia avesse riferito di una inesistente cuginanza con il-OMISSIS- e sbagliato nell’indicare il cognome (-OMISSIS- e non -OMISSIS-).
Entrambe le notazioni non sono rilevanti: per un verso, è difficilmente credibile che, in un determinato contesto locale, l’amministratore della Società affidataria dell’appalto fosse ignaro dei rapporti affettivi e di parentela del responsabile tecnico con soggetti gravemente controindicati (anche perché appare che lo stesso conoscesse direttamente i soggetti medesimi); per altro verso, l’erronea indicazione del cognome, da parte del pentito, non sta a significare che egli non avesse fatto riferimento all’amministratore della Società ricorrente (potendo il riferimento alla cuginanza essere ritenuto una falsa, ma innocua, conoscenza dei rapporti parentali tra i soggetti in questione, mentre il riferimento al cognome -OMISSIS- anziché -OMISSIS- deriva dall’inversione tra il nome di battesimo e il cognome, senza che possa farsi valere che si tratti di un’altra persona).
Va quindi posta in rilievo l’esistenza di una vicinanza d’affetto e di stretta parentela tra soggetti coinvolti in vicende indubbiamente rilevanti, coinvolgenti ambienti criminali (segnatamente, il clan -OMISSIS-), di considerevole rilievo ai fini della prevenzione antimafia.
È noto che i rapporti di parentela assumono, per uniforme giurisprudenza, una considerevole significatività ai fini antimafia, dal momento che l’innesto e la propagazione di fenomeni criminali trova sovente terreno fertile nell’ambito di tali rapporti, per il mutuo favore o l’assecondamento prestato da ciascuno dei componenti legati da vincoli familiari (cfr., tra le molteplici pronunce dello stesso tenore, Cons. Stato, sez. III, 26/4/2022 n. 3215, per cui va accordato rilievo al rapporto, ove “per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto, avuto anche riguardo al quadro degli usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica””; cfr. altresì, più di recente, Cons. Stato – sez. III, 31/3/2023 n. 3340, sui “rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente” della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi”).
L’inserimento nella Società, quale responsabile tecnico, di un soggetto legato da vincoli di affetto e di parentela a soggetti controindicati costituisce elemento giustificativo dell’informazione interdittiva antimafia, poiché le verifiche vanno condotte anche con riguardo ai soggetti che, a vario titolo, sono inseriti nell’organico della Società e possono esercitare la propria influenza, non solo direttamente ma anche attraverso i loro legami personali.
Questa Sezione ha, di recente, affermato (con riferimento all’elencazione dei soggetti di cui all’art. 85 del d.lgs. n. 159/2011) che “ciò non vuol dire che gli indizi di condizionamento non possano essere tratti anche dalle vicende relative ad esponenti che, pur non rientrando nelle categorie individuate da detta disposizione, siano comunque in grado di incidere sulla gestione sociale o comunque ne condizionino l’andamento” (sentenza del 13/2/2023 n. 1003).
Le statuizioni contenute nella sentenza richiamata vanno riproposte in funzione motivazionale anche della presente pronuncia, ai sensi dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a., ribadendo che: “Al riguardo vanno richiamati i principi giurisprudenziali in materia di interdittiva antimafia (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3299/2016) secondo cui: a) il condizionamento mafioso (ovvero il ‘controllo del territorio’ con la creazione di un clima di paura o di omertà) può derivare anche dalla presenza di soggetti che non svolgano ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi; b) consentire, infatti, che la propria attività esecutiva sia affidata a soggetti contigui o affiliati alle cosche non può far ragionevolmente escludere che anche le decisioni e la vita stessa dell’impresa siano affidati ad una ‘direzione esterna’, per il tramite di uomini di fiducia posti dalle cosche all’interno dell’impresa; c) la mafia non si serve necessariamente, infatti, dei soli amministratori o dei soci di una società per condizionare l’impresa e strumentalizzarla ai propri scopi, ben potendo avvalersi di soggetti che nell’impresa svolgono una qualsivoglia mansione, anche di un solo dipendente “infiltrato”, poiché il suo scopo non è solo – o non sempre – la scalata delle gerarchie societarie, ma il controllo delle attività economiche più lucrose con ogni mezzo e con ogni uomo idoneo allo scopo, con una flessibilità di forme interne che sfugge e intende sfuggire, per non attirare controlli esterni, alle ‘armonie prestabilite’ del diritto societario; d) in presenza di tali situazioni, infatti, la Prefettura ben può trarre elementi per ritenere sussistente un fattore di inquinamento mafioso, in considerazione dell’atteggiamento dell’impresa, già sul piano della scelta dei suoi dipendenti; e) le imprese possono effettuare liberamente le assunzioni che meglio credano, qualora non abbiano o non intendano avere i rapporti economici con la pubblica amministrazione, disciplinati dal D.Lgs. n. 159 del 2011; tuttavia, ove però intendano avere tali rapporti, esse devono garantire la massima affidabilità, non solo nella selezione di amministratori e soci, ma anche dei dipendenti, e devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti risultati contigui al mondo della criminalità organizzata (TAR Campania, n. 4178/2019)”.
Nel caso di specie, non v’è solo il rapporto di parentela a delineare un contesto indiziario, poiché vi si aggiungono gli ulteriori elementi che pongono in luce una partecipazione dell’amministratore della Società ricorrente ad attività e interessi di sodalizi criminali (non importa se sotto forma di contiguità compiacente o soggiacente), tanto da fondare il pericolo di permeabilità criminale, qualora siano rinvenibili precise convergenze di interessi, create dall’intreccio di relazioni di più persone e il coinvolgimento nei traffici criminali di diversi soggetti giuridici.
Riguardati congiuntamente, tali elementi possono legittimamente fondare la prognosi di possibile permanenza di un collegamento con ambienti della criminalità organizzata.
Può dunque affermarsi che, nella fattispecie in esame, l’accertamento del Prefetto si è basato su aspetti decisivi, che lasciano intendere con sufficiente grado di attendibilità il rischio di contaminazione criminale.
Invero, i fattori di controindicazione ravvisati dalla Prefettura hanno consistenza tale da far sì che l’apprezzamento compiuto sia basato su elementi indiziari caratterizzati dai necessari requisiti di pluralità, convergenza e significatività, riguardanti il socio e amministratore unico e che riverberano i propri effetti nella sfera giuridica della Società.
3.4.2. La censura articolata con il secondo motivo del ricorso introduttivo va disattesa, alla luce della giurisprudenza che, quantomeno per i provvedimenti assoggettate alla disciplina anteriore alla riforma del codice antimafia, ha escluso l’obbligo di attivare il contraddittorio procedimentale (cfr. la citata sentenza di questa Sezione: “Quanto poi alla dedotta violazione delle garanzie partecipative essa non inficia l’impugnato diniego e l’informazione antimafia (retta ratione temporis dalle disposizioni previgenti alla riforma introdotta con il menzionato D.L. n. 152 del 2021), essendo stato costantemente ritenuto che: “la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 L. n. 241 del 1990 e del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della stessa L. n. 241 del 1990, sono adempimenti non necessari in materia di certificazione antimafia, in cui il contraddittorio procedimentale ha natura meramente eventuale, ai sensi dell’art. 93, comma 7, D.Lgs. n. 159 del 2011” (Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2021 n. 3182, con ulteriori richiami)”.
3.4.3. Con l’ultimo motivo (rivolto ai provvedimenti delle altre Amministrazioni, che hanno fatto seguito all’interdittiva), la ricorrente non ne disconosce il carattere doveroso, censurando piuttosto che siano stati adottati senza che il Prefetto avesse verificato la possibilità di far proseguire i rapporti, avvalendosi della disciplina speciale introdotta dall’art. 32, co. 10, del D.L. n. 92/2014, convertito in legge n. 114/2014.
Fermo restando che la critica involge la legittimità non già dei provvedimenti impugnati, bensì dell’interdittiva, va ricordato che l’art. 92, co. 2-bis, del d.lgs. n. 159/2011, nel testo applicabile ratione temporis, stabiliva che: “Il prefetto, adottata l’informazione antimafia interdittiva, verifica altresì la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione”.
È palese dal tenore della norma che l’interdittiva antimafia non è subordinata a tale verifica, che il Prefetto può condurre dopo la sua adozione, cosicché alcun vizio del provvedimento impugnato può rinvenirsi sotto questo aspetto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15/12/2015 n. 5678: “È ben evidente, dalla lettura di tale ultima disposizione, che l’emissione del provvedimento interdittivo non necessariamente deve essere preceduta dall’adozione delle misure di cui al comma 1 dell’art. 32 del D.L. n. 90 del 2014, sicché il Prefetto può legittimamente emettere l’informativa, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 91 del D.Lgs. n. 159 del 2011, salvo poi, nelle ipotesi di cui al comma 10 dell’art. 32 del D.L. n. 90 del 2014, adottare successivamente le misure sostitutive di cui al comma 1 del predetto articolo. La mancata previa adozione di tali misure non ha efficacia invalidante, dunque, sull’emissione dell’informativa né viola i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed adeguatezza”).
Quanto ai provvedimenti che conseguono all’interdittiva, va detto le Amministrazioni interessate non debbono “attendere” l’esito della verifica, rimessa esclusivamente alla competenza del Prefetto, non dovendo la committenza far altro che prendere atto del provvedimento che preclude il mantenimento di rapporti con la Pubblica Amministrazione (cfr. Cons. Stato, cit.: “La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che, in presenza di un’informativa prefettizia antimafia che accerti il pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, non residua in capo all’organismo committente, come nel caso di specie l’A. s.p.a., alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione, atteso che si tratta di provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico – attinenti all’ordine e alla sicurezza pubblica nel settore dei trasferimenti e di impiego di risorse economiche dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti contemplati dalla normativa in materia – il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’Autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura di interdittiva devono prestare osservanza. Ogni successiva statuizione della stazione appaltante, quindi, si configura dovuta e vincolata a fronte del giudizio di disvalore dell’impresa con la quale è stato stipulato il contratto e il provvedimento di revoca o recesso da essa adottato non deve essere corredato da alcuna specifica motivazione, salvo la diversa ipotesi, del tutto eccezionale, in cui a fronte dell’esecuzione di gran parte delle prestazioni e del pagamento dei corrispettivi dovuti, venga riconosciuto prevalente l’interesse alla conclusione della commessa con l’originario affidatario (Cons. St., sez. III, 12.3.2015, n. 1292)”).
3.5. In ragione di quanto sin qui illustrato, le argomentazioni della ricorrente non possono valere a sovvertire il giudizio prognostico della Prefettura, che si mostra validamente assunto e, conseguentemente, il ricorso introduttivo va interamente respinto.
4.- I primi motivi aggiunti deducono l’illegittimità derivata dei provvedimenti con essi impugnati (che, alla stregua di quanto precede, va disattesa), nonché l’autonoma censura di illegittimità dell’incameramento della garanzia definitiva, disposto con il provvedimento dell’-OMISSIS- Milano di risoluzione del contratto di appalto rep. -OMISSIS-
Premette la ricorrente che trattasi non di risoluzione ma di recesso, contestando l’escussione della polizza fideiussoria stipulata ai sensi dell’art. 103 del d.lgs. n. 50/2016, in quanto operata in assenza di un inadempimento ad essa imputabile.
Si sostiene al proposito che:
– l’incameramento della cauzione definitiva, a differenza della cauzione provvisoria di cui all’art. 93, presuppone un inadempimento delle obbligazioni assunte, poiché l’art. 103 cit., co. 2 (il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione, nei limiti dell’importo massimo garantito, per l’eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori, servizi o forniture nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore”) va letto in connessione con il co. 1 (per il quale: “La cauzione è prestata a garanzia dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse”);
– l’interdittiva non ha carattere sanzionatorio e prescinde dalla colpevolezza dell’impresa (alla quale, per le ragioni rappresentate nei confronti del provvedimento, non è soggettivamente imputabile alcuna colpa);
– l’art. 94, co. 2, del codice antimafia, in caso di interdittive, riconosce all’Amministrazione un diritto di recesso (ovverossia lo scioglimento del contratto che non presuppone l’inadempimento di una delle parti), mentre l’art. 108, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016 (prevedendo tra le ipotesi di risoluzione del contratto la sopravvenienza di un provvedimento definitivo che applica una misura di prevenzione di cui al codice antimafia) contiene un riferimento atecnico all’istituto della risoluzione;
– è “macroscopicamente” irragionevole e sproporzionata la conseguenza per l’impresa che, già colpita dai gravi effetti che conseguono all’adozione di un’interdittiva (con l’impossibilità di contrarre con la P.A.), subisce automaticamente l’incameramento delle cauzioni definitive per gli appalti, a causa di un fatto imprevedibile, sopravvenuto alla stipula del contratto e indipendente dalla sua volontà.
I rilievi critici non meritano condivisione.
Occorre premettere che l’interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica e impedisce al soggetto destinatario di essere titolare delle situazioni giuridiche che hanno fonte in rapporti con la Pubblica Amministrazione, con una preclusione che non può dirsi sopravvenuta al contratto stipulato (cfr. Ad. Plen. n. 23/2020: “Giova precisare che ciò che consegue alla interdittiva antimafia non costituice un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì il (pur tardivo) accertamento della insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica: quella incapacità che – laddove fosse stata, come di regola, previamente accertata – avrebbe escluso in radice sia l’adozione di provvedimenti sia la stipula di contratti”).
L’ordinamento valuta che il soggetto medesimo non sia meritevole della posizione di vantaggio assicurata dal rapporto contrattuale con la Pubblica Amministrazione (cfr. Ad. Plen. n. 3/2018, considerando che esso non “meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni”).
Operate queste premesse, va aggiunto che non vincola il Giudice la denominazione del provvedimento adottata, come da pacifica giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 7/4/2021 n. 2799: “Al riguardo, deve rilevarsi che il nomen iuris impiegato nello svolgimento dell’attività giuridica, di regola, non vincola l’interprete, occorrendo procedere alla qualificazione dei relativi atti avendo riguardo al loro specifico contenuto. Trattasi di principio generale applicabile anche in ambito amministrativo, essendosi precisato che “ai fini della di una corretta qualificazione della sua natura l’atto amministrativo va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto e risalendo al potere concretamente esercitato dall’amministrazione, prescindendo dal nomen iuris che gli è stato assegnato” (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV, 5 giugno 2020, n. 3552)”).
Per la risoluzione della questione controversa, è pertanto indifferente valutare se si sia in presenza di un atto di risoluzione o di un recesso dal contratto, giustificato quest’ultimo caso dall’art. 92, co. 4, del d.lgs. n. 159/2011 (richiamato dall’art. 109 del d.lgs. n. 50/2016), in virtù del quale si applicano la revoca o il recesso dai contratti “anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione di lavori o all’autorizzazione del subcontratto”.
Tanto chiarito, ciò che conta in ordine al contestato incameramento della cauzione è che non può supporsi l’incolpevolezza dell’affidatario e l’assenza di un suo inadempimento alle obbligazioni assunte.
Invero, l’art. 103 del d.lgs. n. 50/2016 (che prevede l’escussione della garanzia che l’esecutore è obbligato a costituire per il mancato o inesatto adempimento) è applicabile anche in caso di emanazione di una successiva informazione antimafia, riconnettendosi per un verso a un fattore comunque imputabile al contraente privato e, per altro verso, dovendosi preservare la posizione della stazione appaltante incolpevole (cfr. Cons. Stato, sez. II, 22/11/2021 n. 7810: “Il sopravvenire di una interdittiva antimafia, ignorata al momento della sottoscrizione del contratto, configura una ipotesi di inadempimento imputabile, sul piano soggettivo, alla società contraente atteso che i fatti posti alla base del provvedimento prefettizio non possono considerarsi estranei alla sfera di controllo (e, quindi, di conoscenza/conoscibilità) dell’impresa medesima (operatore professionale di settore), non integrando caso fortuito, forza maggiore o fatto del creditore. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha, infatti, statuito che “Sotto il profilo soggettivo, l’informativa antimafia costituisce una sopravvenienza non prevedibile, collegata ad elementi e fatti sicuramente conosciuti dall’impresa incisa, e comunque costituisce una circostanza oggettivamente addebitabile all’appaltatore soggetto a fenomeni di infiltrazione mafiosa, che, in conseguenza, è quindi tenuto a rispondere del mancato adempimento mediante l’attivazione delle previste penali e fideiussioni. Le conseguenze patrimoniali della risoluzione del contratto, ivi compresa la sanzione della violazione dell’obbligo di diligenza, comporta necessariamente la responsabilità per i danni incolpevolmente subiti dalla Stazione Appaltante per il “mancato adempimento” del contratto, che era espressamente richiesto dall’art. 113 dell’abrogato D.lgs. n. 163/2006 e che era direttamente ed esclusivamente imputabile da parte della società ricorrente, conseguente al sopravvenire dell’interdittiva” (Cons Stato, sez III n.6052 del 24/10/2018, nello stesso senso, id. n. 5533 del 29/12/2016)”).
Pertanto, anche questa censura dei primi motivi aggiunti va respinta.
5.- Con i secondi motivi aggiunti è impugnata la conferma dell’interdittiva, respingendo l’istanza del 5/7/2022 di aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, co. 5, del d.lgs. n. 159/2011, con la quale la Società ricorrente rappresentava che:
– l’arch. -OMISSIS-OMISSIS-, preposto alla gestione tecnica, non è gravata da pregiudizi penali ed è stata rimossa dall’incarico, appena ricevuta la notifica dell’interdittiva;
– l’amministratore della Società era all’oscuro dei suoi rapporti affettivi e parentali e non è stato personalmente destinatario di alcuna misura del Giudice penale;
– le dichiarazioni del collaboratore di giustizia costituiscono mere illazioni, neppure prese in considerazione dall’Autorità penale.
5.1. Nel provvedimento di conferma è ricordato che l’interdittiva si è fondata sull’esito delle attività giudiziarie della DDA, culminate nell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Napoli n. -OMISSIS- (“c.d. operazione -OMISSIS-”).
È riferito che il Gruppo Ispettivo Antimafia, con verbale n. -OMISSIS-, ha evidenziato che le motivazioni dell’istanza non fanno venir meno “il pesante quadro indiziario che emerge dalla lettura dell’o.c.c.c. -OMISSIS- che, di contro, rivela una permeabilità della società in questione, rispetto ai voleri della criminalità organizzata con riferimento soprattutto al socio e amministratore unico della medesima società, di -OMISSIS-OMISSIS-”.
Il parere del G.I.A. è stato motivato considerando, in via preliminare, che la revoca dell’incarico all’arch. -OMISSIS- non sottrae rilevanza al quadro indiziario e che l’assenza di precedenti penali “è del tutto inconferente ai fini della prevenzione antimafia ex artt. 84 e 91 del D.Lgs 159/2011” (potendo essere assunti anche fatti non penalmente rilevanti o anche già oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione).
Lo stesso parere passa in rassegna gli elementi ritraibili dal contenuto della predetta ordinanza di custodia cautelare in carcere, sul piano dei “collegamenti del -OMISSIS- con esponenti del clan -OMISSIS-, confermati anche dal pentito del clan -OMISSIS-,-OMISSIS-”.
Sono ripercorsi i passaggi rilevanti dell’ordinanza con cui si riferisce della “strumentalizzazione” delle procedure operata dal Dirigente dell’Ufficio tecnico, accusato di reati associativi di stampo mafioso, corruzione e altri reati contro la P.A., “ad appannaggio” della Società ricorrente, mediante un patto illecito con il diretto coinvolgimento dell’amministratore unico della Società ricorrente, fino all’assegnazione “a due cugini costruttori -OMISSIS- e -OMISSIS-” dell’appalto (che “interessava personalmente -OMISSIS–OMISSIS-per valorizzare un fondo agricolo intestato alla moglie”), in virtù dei buoni rapporti intessuti dagli stessi con i nominati soggetti, indagati per associazione a delinquere.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere dà conto compiutamente del patto criminale, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, in termini da cui si ricava il diretto coinvolgimento dell’amministratore e socio unico della Società ricorrente nell’assegnazione dell’appalto, grazie ad accorgimenti tecnici strumentalmente predisposti dal Dirigente dell’U.T.C. (come noto dall’inizio ai tecnici comunali, alle altre ditte partecipanti e agli esponenti del clan).
Riferisce in particolare il collaboratore di giustizia (nel “fiume” delle circostanziate dichiarazioni rese) che:
– la circostanza del versamento della tangente “mi è stata personalmente riferita da -OMISSIS-, con il quale come vi ho detto avevo buoni rapporti. Lo stesso -OMISSIS- mi ha anche riferito che la sua ditta ha versato 60 mila euro al clan” (segue il resoconto dettagliato dei tempi e modi della consegna del denaro, corrispondente – per dichiarazione del -OMISSIS- al pentito – al 10% dell’importo dei lavori, da ripartire tra i 3 clan -OMISSIS–OMISSIS-);
– l’esponente del clan gli comunicava poi che l’ingegnere comunale a sua volta “ha percepito circa 20/30 mila euro dai due costruttori di -OMISSIS- come tangente perché la pratica andasse liscia”;
– anche il Presidente del Consiglio comunale riceveva 20 mila euro dal -OMISSIS-, il quale precisava di conoscerlo con il nome di “-OMISSIS-”.
Il provvedimento di conferma dell’interdittiva rinnova poi i riferimenti alle imputazioni a carico di -OMISSIS-e -OMISSIS- -OMISSIS-, indicato come cugino del -OMISSIS-, e di -OMISSIS- -OMISSIS- (padre del responsabile tecnico, sollevato dall’incarico dopo la prima interdittiva).
Alla luce di tutte le circostanze pregiudizievoli ravvisate, è stata dunque confermata la misura interdittiva già disposta.
5.2. Con le censure articolate con i secondi motivi aggiunti avverso il provvedimento di conferma (disattesa per quanto già detto la censura di illegittimità derivata), la ricorrente ripropone le doglianze già manifestate sulla labilità del quadro indiziario e l’estraneità della Società alle ipotesi delittuose oggetto di indagine penale, dolendosi che la prefettura abbia riprodotto i “presunti profili di criticità emersi dall’o.c.c. n. -OMISSIS-” senza attualizzare la prognosi di contaminazione criminale.
Deduce inoltre che i fatti configurerebbero tutt’al più un’agevolazione occasionale, riguardando un’unica vicenda, anche in ragione del fatto che la Società opera prevalentemente nel Nord Italia.
Nega nuovamente l’esistenza di rapporti con ambienti malavitosi, la cuginanza dell’amministratore unico con il-OMISSIS-, le circostanze a cui fa riferimento l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ribadendo decisamente che il -OMISSIS- non è minimamente coinvolto nelle indagini.
Lamenta poi che avrebbe dovuto essere comunicato il preavviso di rigetto e ravvisata la necessità di far luogo all’adozione delle misure di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011.
È ulteriormente censurato, con altro motivo, l’incameramento della cauzione da parte dell’-OMISSIS- Milano.
5.3. Tutte le censure vanno disattese.
Sulla legittimità dell’incameramento della cauzione si è motivato al punto 4. che precede, al quale è sufficiente rinviare.
Circa i rilievi critici avverso il provvedimento impugnato, va osservato che la conferma dell’interdittiva non si mostra quale meramente riproduttiva dell’atto originario, risultando il frutto del rinnovato espletamento dell’istruttoria e della nuova valutazione dei fattori di controindicazione, riguardanti in maniera più diretta e circostanziata la persona stessa dell’amministratore e socio unico della Società ricorrente.
La significatività e rilevanza di tali elementi non può essere seriamente posta in discussione, apparendo in tutta evidenza il coinvolgimento diretto, personale e compartecipe del -OMISSIS- nel pagamento di tangenti a più soggetti e nei contatti diretti con esponenti del clan (tra cui principalmente il soggetto che si è poi risolto a collaborare con la giustizia), tanto da escludere in radice l’addotta estraneità della Società a fatti delittuosi che costituiscono, senza tema di smentita, il terreno che alimenta i fenomeni criminali di tipo mafioso.
In altri termini, non può dirsi affatto che la Prefettura abbia trascurato gli appropriati elementi di valutazione del riesame, avendo piuttosto raccolto e adeguatamente vagliato i fattori che militano nel senso di una concreta e attuale esposizione della Società ricorrente al rischio di contaminazione criminale.
In tale contesto, è del tutto indifferente che l’amministratore unico della Società ricorrente non sia stato coinvolto nelle indagini, in base a valutazioni proprie dell’Autorità giudiziaria penale; ciò in quanto, come ripetutamente affermato e che occorre ancora una volta ribadire, la misura di prevenzione amministrativa è completamente svincolata dall’accertamento della responsabilità penale (cfr., di recente, la sentenza di questa Sezione del 19/1/2023 n. 434: “La giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato, nell’ambito della prevenzione, che il relativo provvedimento sia svincolato dall’accertamento rigoroso della prova, ben potendo lo stesso basarsi esclusivamente sull’indizio, restando all’Autorità giudiziaria l’esclusiva competenza dell’accertamento della responsabilità personale scaturente dalla commissione di un fatto dannoso o pericoloso. Infatti, la giurisprudenza amministrava formatasi in materia ha statuito che “gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione” (Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743)”.
L’importanza dei fatti delittuosi (connotati da una continuità di comportamenti) esclude inoltre che possa minimamente discorrersi, in questo caso, di agevolazione occasionale e possa farsi luogo all’adozione delle misure della cosiddetta prevenzione collaborativa, avendo la giurisprudenza di questa Sezione chiarito che: “Il concetto di agevolazione occasionale è caratterizzato dalla sporadicità del fattore critico coinvolgente il soggetto destinatario dell’interdittiva, che ricorre qualora siano assenti elementi che, al contrario, inducano a evidenziare un connotato stabile e perdurante dei contatti con la criminalità organizzata” (sentenza del 13/2/2023 n. 1001).
Con la stessa pronuncia si è affermato che, pur dopo le modifiche al codice antimafia, è rimessa all’Autorità procedente la valutazione delle ragioni che escludono di comunicare l’avvio del procedimento (ovvero, di formulare il preavviso di diniego), reputando che “pur dopo la modifica introdotta all’art. 92 D.Lgs. n. 159 del 2011 citato, non possano essere del tutto trascurate le esigenze sottese alla previsione di esclusione del contraddittorio procedimentale in tema di interdittive. La generalizzata e inderogabile estensione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento potrebbe, in concreto, comportare il rischio di compromettere l’attività di contrasto al fenomeno mafioso, presidiata dall’esigenza di rapidità (cfr. Cons. St., cit.). In tal senso, assume un connotato specifico la deroga dettata dalle ragioni di celerità (generalmente fissata dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990), la quale deve tenere conto della delicatezza della materia e del superiore interesse perseguito, consentendo perciò all’Autorità procedente di omettere la comunicazione di avvio del procedimento, ogni qualvolta siano rappresentabili elementi che militino in tal senso. La sussistenza delle ragioni di celerità è rimessa alla valutazione dell’Amministrazione, che deve darne contezza nel provvedimento, ed è sindacabile nei limiti di un evidente travisamento o di palesi indizi di eccesso di potere (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 16/12/2022 n. 11042, che riafferma consolidati principi: “lo stesso art. 7 della L. n. 241 del 1990 espressamente dispone che l’obbligo dell’avviso di avvio del procedimento recede qualora sussistano particolari esigenze di celerità, rimettendo all’autorità emanante la valutazione della sussistenza di tali esigenze nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, salvo il limite della non manifesta illogicità ed irragionevolezza (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 26 aprile 2017, n. 1924). Pertanto la Pubblica amministrazione, ove ritenga esistenti i presupposti di celerità che legittimano l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento, deve dare contezza, nel provvedimento finale, dell’urgenza, atteso che le ragioni della speditezza devono essere poste a raffronto con le esigenze di tutela del contraddittorio, soprattutto nel caso in cui il provvedimento da adottare consista nel ritiro o nella modificazione di un atto favorevole per i destinatari con conseguente venir meno di un effetto positivo”)”.
Nel caso di specie, entrambe le valutazioni di competenza dell’Amministrazione sono state rese con motivazione per relationem all’avviso del G.I.A., ravvisando “esigenze di celerità del procedimento, connessi alla necessità di impedire lo svolgimento di attività imprenditoriali con la pubblica amministrazione stante lo spessore criminale dei soggetti cui si riferisce l’impresa in questione, […] per cui una ulteriore procedura partecipativa produrrebbe un effetto meramente dilatorio e non funzionale alla definizione del procedimento. Per analoghe motivazioni non si ravvisano i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94 bis, ritenendo non sussistente la condizione dell’agevolazione occasionale” (pag. 9 del provvedimento).
Le considerazioni dell’Amministrazione si mostrano pertinenti al caso in esame e, quindi, non illogiche, risultando così immune da vizi la determinazione su questi punti.
Per le considerazioni che precedono, anche i secondi motivi aggiunti vanno dunque respinti.
6.- Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame del Tribunale, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
7.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti in epigrafe indicati vanno interamente respinti, compresa evidentemente la richiesta di reintegrazione nelle posizioni vantate per effetto degli affidamenti cessati.
Sussistono nondimeno giustificate ragioni, attesa la natura degli interessi incisi dall’azione amministrativa, per disporre la compensazione per l’intero tra tutte le parti delle spese di giudizio, non essendovi luogo a provvedere nei confronti delle altre parti non costituitesi in giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa per l’intero le spese di giudizio tra tutte le parti costituite; nulla sulle spese nei confronti delle altre parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2023 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Giuseppe Esposito, Consigliere, Estensore
Maurizio Santise, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Giuseppe Esposito | Vincenzo Salamone | |
IL SEGRETARIO
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