ECLI:IT:TARTOS:2023:995SENT

 Antimafia – Informativa interdittiva – Fondata su misura di sorveglianza personale per fatti non attinenti alla criminalità mafiosa (art.67 D.lgs 159/2011) – Avrebbe al massimo potuto giustificare una comunicazione antimafia – Costituisce un “minus” rispetto all’informativa interdittiva – Differenza di presupposti e poteri – Accoglie.

Pubblicato il 02/11/2023

  1. 00995/2023 REG.PROV.COLL.
  2. 01641/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1641 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luciano Barsotti, Lucia Casale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

U.T.G. – Prefettura di Livorno, Ministero dell’Interno, Anac Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via degli Arazzieri, 4;

per l’annullamento

– della informazione antimafia interdittiva prot. -OMISSIS- della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Livorno, emessa nei confronti della ricorrente e a questa comunicata a mezzo PEC con nota prot. -OMISSIS- in pari data;

– dei verbali del -OMISSIS- dell’Ispettorato del Lavoro e della Guardia di Finanza;

– della comunicazione ex art.92 comma 2 bis della Prefettura del -OMISSIS-;

– dei verbali della Guardia di Finanza del -OMISSIS-;

– della comunicazione di avvenuta segnalazione ex art. 213, co. 10, d.lgs. 50/16 nel Casellario informatico degli operatori economici, esecutori dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione del suddetto provvedimento interdittivo a carico della ricorrente, comunicate con le note ANAC prot. -OMISSIS-;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché, allo stato, incognito.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Livorno e del Ministero dell’Interno e dell’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2023 il dott. Nicola Fenicia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 9 dicembre 2022, la società -OMISSIS-, operante nella commercializzazione al minuto e all’ingrosso di prodotti ittici freschi e congelati, ha impugnato l’informazione antimafia n. -OMISSIS-, emessa nei suoi confronti, in data -OMISSIS-, dal Prefetto di Livorno ai sensi degli artt. 84 e 91 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Il provvedimento impugnato origina da una richiesta di riesame, da parte del legale rappresentante della società, -OMISSIS-, di un precedente provvedimento interdittivo prot. n. -OMISSIS- emesso dalla Prefettura di Livorno nei confronti della stessa società, provvedimento gravato con ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Con tale primo provvedimento, il Prefetto di Livorno, all’esito della richiesta di informazioni antimafia presentata in data -OMISSIS-, tramite la banca dati nazionale antimafia, dalla Banca del Mezzogiorno – Mediocredito centrale s.p.a – Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, aveva informato che “che a carico della Società -OMISSIS-. . . sussistono le cause di decadenza, di sospensione o divieto di cui all’art. 67, comma 1 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 e s.m.i., riferite all’Amministratore e Socio di Maggioranza -OMISSIS-, come sopra generalizzato”.

Il provvedimento del Prefetto di Livorno impugnato con ricorso al Capo dello Stato recava la seguente motivazione: “Preso atto che dal Casellario Giudiziale, in data -OMISSIS-, risulta che -OMISSIS- . . . è stato sopposto con decreto del Tribunale di Lucca del -OMISSIS-, divenuto definitivo il -OMISSIS-, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni uno; è stato ancora sottoposto, con decreto del Tribunale di Lucca dell’-OMISSIS-, alla misura della sorveglianza speciale per la durata di anni uno, confermata dalla Corte di Appello di Firenze in data -OMISSIS-; Considerato, altresì, che dal certificato richiamato risulta che -OMISSIS- non ha, allo stato, ottenuto la riabilitazione e che, pertanto, non è stato accertato il venir meno della pericolosità sociale da parte dell’Autorità Giudiziaria competente; Ritenuto per quanto sopra evidenziato, che ricorrano i presupposti di legge per l’adozione di una informazione antimafia interdittiva ai sensi degli artt. 67, comma 1, 84, comma 3 e 85, comma 1 del D.L.gs n. 159/2011, non essendosi, in assenza di riabilitazione, integrata l’ipotesi di cui all’art. 70, comma 2 dello stesso D.L.gs n 159/2011, senza che sussistano margini per valutazioni di carattere discrezionale… Vista, altresì, l’informazione interdittiva emessa da questa Prefettura con provvedimento prot. -OMISSIS-, in relazione alla sussistenza della medesima causa ostativa, nei confronti dell’impresa in argomento”.

La Prefettura di Livorno aveva perciò emesso il provvedimento interdittivo antimafia n. -OMISSIS- nei confronti della soc. -OMISSIS-, in quanto a carico del suo amministratore e socio di maggioranza, -OMISSIS-, risultava l’applicazione della misura di sorveglianza speciale per anni uno, in assenza di riabilitazione.

In data -OMISSIS-, in qualità di nuovo amministratore unico e legale rappresentante della -OMISSIS-, ha dunque chiesto, a seguito delle modificazioni alla compagine societaria nonché dell’organo amministrativo, un riesame del citato provvedimento antimafia interdittivo.

Difatti, nel frattempo, le quote della società, possedute per il 50% da -OMISSIS- e per il 50% dalla coniuge, -OMISSIS-, erano state vendute al loro figlio, -OMISSIS- ed a un altro dipendente, persona di fiducia che aveva ricoperto il ruolo di contabile nella società dal 2002. A far data dal 7 dicembre 2021, -OMISSIS- è invece divenuto dipendente a tempo indeterminato della società.

Il Gruppo interforze, a quattro mesi di distanza dalle predette modifiche societarie, ha dunque svolto una serie di indagini per verificare se il mutamento gestionale fosse stato effettivo oppure fittizio.

Con comunicazione del -OMISSIS- la Prefettura ha preavvertito la società in ordine alla non accoglibilità dell’istanza “poiché, dagli esiti complessivi della visita ispettiva, era stata verificata l’effettiva ed attuale figura di dominus aziendale in capo a -OMISSIS- e la conseguente continuità della gestione dell’Azienda da parte di soggetto controindicato, denotando un intento elusivo della normativa in materia di documentazione antimafia”.

In seguito all’acquisizione delle memorie procedimentali prodotte da -OMISSIS-, la Prefettura di Livorno ha adottato il provvedimento interdittivo del -OMISSIS- in questa sede impugnato, riscontrando negativamente la richiesta di provvedimento liberatorio in considerazione:

– della perdurante gestione societaria da parte di -OMISSIS- (sottoposto ad una misura di sorveglianza personale senza che fosse intervenuto un provvedimento di riabilitazione) in luogo del figlio -OMISSIS-;

– della vendita estremamente antieconomica delle quote societarie per i cedenti in quanto il valore della società -OMISSIS- sarebbe notevolmente superiore rispetto a quello della cessione;

– del fatto che -OMISSIS- sarebbe indagato dalla Procura della Repubblica di Livorno per i reati di cui agli artt. 316 ter e 648 ter c.p. .

Quindi, la Prefettura di Livorno ha ritenuto sussistenti “i presupposti di legge per l’adozione di una informazione antimafia interdittiva ai sensi degli artt. 67, commi 1, 84, comma 3 e 85, comma 1 del D.Lgs. n. 159/2011, non essendosi, in assenza di riabilitazione, integrata l’ipotesi di cui all’art. 70, comma 2 dello stesso D.Lgs. n. 159/2011, senza che sussistano margini per valutazioni di carattere discrezionale (cfr Consiglio di Stato, Sez. III, 29 aprile 2019, n. 2773)”.

A sostegno del gravame la parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge (artt. 67, 68, 84, 85 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011), eccesso di potere, violazione dei principi di cui agli artt. 27 e 41 Cost.; nonché l’invalidità derivata della conseguenziale comunicazione ANAC.

In particolare, secondo la ricorrente, l’interdittiva gravata violerebbe l’art. 67 del codice antimafia, perché estenderebbe illegittimamente alla società ricorrente i divieti, le sospensioni e le decadenze che oggi potrebbero considerarsi sussistenti soltanto nei confronti di -OMISSIS-; l’art. 67 citato consentirebbe, sì, di estendere i divieti e le decadenze anche nei confronti di “chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi”, ma a condizione che vi sia una decisione in tal senso del tribunale (artt. 67, comma 4, e 68, commi 1 e 2); inoltre, i divieti sarebbero efficaci per un periodo massimo di cinque anni e anche l’eventuale applicazione postuma della suddetta estensione sarebbe ammissibile solo entro il medesimo confine temporale; nel caso in esame dunque, l’amministrazione avrebbe operato un’illegittima “equazione” tra la società destinataria del provvedimento interdittivo e il suo amministratore (o presunto socio di maggioranza), trasferendo sulla società gli effetti della sorveglianza speciale irrogata al sig. -OMISSIS- circa 20 anni fa, estensione che solo il giudice avrebbe potuto disporre, giusta il disposto dell’art. 67, comma 4, del codice antimafia, in combinato con l’art. 68; in tal modo la Prefettura, lungi dal porre in essere un “atto dovuto”, si sarebbe in realtà appropriata di un potere che compete esclusivamente all’Autorità giudiziaria, travalicandone gli insuperabili limiti temporali.

Sotto altro profilo la ricorrente ha evidenziato la mancata indicazione nel provvedimento impugnato di elementi sintomatici d’infiltrazione mafiosa, essendosi la Prefettura invece basata su di una situazione risalente nel tempo (una misura di prevenzione personale nei confronti del precedente amministratore, già da tempo esaurita negli effetti, e non estesa alla società) in difetto di qualsivoglia valutazione sulla sussistenza attuale di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società.

Inoltre, il Prefetto, prima di adottare il più grave provvedimento interdittivo, non avrebbe neppure preso in considerazione la possibilità di applicare le meno invasive “Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale” di cui al nuovo articolo 94 bis del Codice antimafia, non avendo peraltro, lo stesso Gruppo interforze ravvisato un imminente pericolo di infiltrazione mafiosa.

Si è costituita la Prefettura di Livorno insistendo per il rigetto del ricorso e dell’istanza cautelare.

Con l’ordinanza n. 103 del 22 marzo 2023 il Collegio ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, avendo considerato che: “l’informazione interdittiva antimafia quivi impugnata sembra limitarsi ad assumere a proprio presupposto la sussistenza di una delle cause ostative di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, mentre, ai fini dell’adozione di tale tipo di provvedimento, anche in base all’art. 91 comma 5 del medesimo d.lgs., occorre l’accertamento del pericolo di infiltrazione mafiosa, che nel caso di specie appare del tutto mancante (come risulta dallo stesso verbale del Gruppo interforze)”. L’ordinanza è stata riformata in appello dal Consiglio di Stato che ha dunque respinto l’istanza cautelare.

In vista dell’udienza di discussione la parte ricorrente ha prodotto una memoria conclusiva.

All’udienza del 26 ottobre 2023, all’esito della discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

  1. Anche all’esito della presente fase di merito il Collegio ritiene di dover confermare quanto sommariamente accennato con l’ordinanza cautelare.
  2. L’Autorità prefettizia ha emesso il provvedimento gravato d’informazione interdittiva, ai sensi degli art. 84, comma 3, e 91 del Codice antimafia, a carico della società ricorrente, sulla sola base della esistenza a carico di -OMISSIS-, precedente amministratore delegato, di una misura di prevenzione personale, e dell’asserita continuità di gestione in capo ad esso malgrado il passaggio di quote e di carica in favore del figlio -OMISSIS-, ritenuto meramente fittizio.

Tale presupposto potrebbe in astratto essere conferente – ma non sufficiente come si dirà – rispetto all’adozione di un provvedimento vincolato quale la comunicazione antimafia, ma non può valere ai fini dell’adozione di un provvedimento discrezionale quale per l’appunto l’informazione interdittiva antimafia, la quale non può prescindere dalla valutazione della sussistenza del rischio di condizionamento mafioso.

  1. Occorre dunque muovere dalla distinzione fra comunicazione antimafia e informazione antimafia.

3.1. Nel sistema della documentazione antimafia previsto e disciplinato dal d.lgs. n. 159 del 2011, la comunicazione antimafia consiste, ai sensi dell’art. 84, comma 2, nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67.

Queste, che operano di diritto (art. 67, commi 2 e 8), sono costituite dai provvedimenti definitivi di applicazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 6 del medesimo decreto e dalle condanne con sentenza definitiva o confermata in appello per i delitti consumati o tentati elencati all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., nonché (a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla l. 1 dicembre 2018, n. 132) per i reati di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1, c.p., commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all’articolo 640-bis c.p.

In particolare, le persone alle quali sia stata applicata in via definitiva una delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia non possono essere destinatarie di un’ampia gamma di provvedimenti di natura autorizzatoria, concessoria o abilitativa (art. 67, comma 1).

Così, l’applicazione di una misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti (art. 67, comma 2).

I divieti e le decadenze, inoltre, operano (per un periodo di cinque anni e previa apposita pronuncia del Tribunale) anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione, nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la stessa persona sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi (art. 67, comma 4).

La comunicazione antimafia è emessa quando non sussistono tentativi di infiltrazione mafiosa: infatti, l’art. 89 –bis, rubricato “Accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di comunicazione antimafia” dispone che: “1. Quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia. 2. L’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta”.

Poiché la comunicazione antimafia si fonda, dunque, sul semplice accertamento che, a carico di determinati soggetti, siano state o meno applicate misure di prevenzione personali definitive o pronunciate condanne con sentenza definitiva o confermata in appello per i delitti sopra menzionati, essa costituisce atto di natura vincolata che non lascia spazio alcuno per valutazioni discrezionali.

Questo è vero per tutte le comunicazioni antimafia, sia che si tratti di comunicazioni liberatorie emesse de plano, allorché dalla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia non emerga la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 a carico dei soggetti censiti (art. 88, comma 1, d.lgs. 159/2011), sia che si tratti di comunicazioni, interdittive o liberatorie, emesse all’esito degli ulteriori accertamenti richiesti dall’art. 88, comma 2, quando dalla consultazione della banca dati emerga, viceversa, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto, nel qual caso la legge stabilisce che il Prefetto effettui le necessarie verifiche e accerti la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti.

In particolare, poiché i motivi ostativi sono le cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67, le verifiche sulla corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamenti in tanto possono dare esito negativo, con conseguente rilascio della certificazione antimafia liberatoria (art. 88, comma 3), in quanto, nell’attualità, non sussista più alcuna di quelle cause di decadenza, di sospensione o di divieto (cfr. C.d.S., sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109).

Ciò implica un accertamento in merito al fatto che gli effetti pregiudizievoli della misura di prevenzione personale o della sentenza di condanna possano essere cessati, il che può accadere per effetto di successiva riabilitazione (art. 178 c.p.; art. 70 d.lgs. n. 159 del 2011; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 25 luglio 2018, n. 1811) ovvero, in una diversa prospettiva, perché la causa ostativa non è più, giuridicamente, riferibile al soggetto interessato (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, ordinanza 28 settembre 2016, n. 2337, per l’esempio del legale rappresentante di una società di capitali, il quale, già colpito da una delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. 159/2011, risulti ormai estraneo all’impresa). A tal riguardo assume rilievo la disposizione di cui all’art. 67, comma 4, che circoscrive in cinque anni l’ambito temporale dell’estensione dell’efficacia della misura di prevenzione a chi conviva con la persona sottoposta a misura di prevenzione, nonché alle imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona medesima sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi (sul punto si veda, T.A.R. Toscana, II sez. n.1683/2019). Peraltro in tali casi, ai fini della detta estensione degli effetti della misura di prevenzione, occorre innanzitutto una statuizione del Tribunale da assumere, anche successivamente all’adozione della misura, ma comunque nel contraddittorio delle parti (v. anche art. 68).

3.2. Dalle comunicazioni le informazioni antimafia si distinguono per la netta diversità dei presupposti di adozione e, conseguentemente, per la chiara diversità del potere rimesso al Prefetto.

L’informazione antimafia di cui all’art. 84, terzo comma, del d.lgs. n. 159/2011, attesta, infatti, oltre a quanto già previsto per la comunicazione antimafia (cioè eventuali cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al citato art. 67), anche la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o dell’impresa interessata (mediante accertamenti effettuati, in particolare, secondo la disciplina di cui agli artt. 84, quarto comma e quarto comma-ter, nonché 91, comma quinto e sesto, del codice antimafia).

L’informazione antimafia va richiesta – dai soggetti di cui all’art. 83, primo e secondo comma, del d.lgs. n. 159 del 2011 – prima di adottare, stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti con la pubblica amministrazione o prima di rilasciare o adottare provvedimenti di concessione o di erogazione di benefici il cui valore sia superiore a quello previsto per la comunicazione antimafia (art. 91, primo comma, del codice antimafia).

Come evidenziato nel parere del Consiglio di Stato n. 3088/15 del 17 novembre 2015, la comunicazione antimafia costituisce un “minus” rispetto all’informazione antimafia (attestando quest’ultima anche l’eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa) e va richiesta in relazione a fattispecie di rilievo minore rispetto a quelle per cui è prevista l’informazione, che è, invece, contemplata per rapporti particolarmente qualificati in cui l’Amministrazione attribuisce al soggetto interessato vantaggi di natura economica di importo significativo.

Le informazioni antimafia, inoltre, presentano un contenuto discrezionale: sono, invero, dirette ad attestare la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate, desunti tuttavia all’esito di un autonomo apprezzamento rimesso al Prefetto e senza, quindi, automatismo rispetto al provvedimento giudiziario emesso in sede penale.

Come costantemente sostenuto in giurisprudenza, infatti, il Prefetto, se certo ha il dovere di tener conto dell’emissione o, comunque, del sopravvenire di un provvedimento giurisdizionale, nel suo valore estrinseco (tipizzato dal legislatore) di fatto sintomatico dell’infiltrazione mafiosa a fronte di uno dei delitti-spia previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, deve tuttavia svolgere un autonomo apprezzamento delle risultanze penali, senza istituire un automatismo tra l’emissione del provvedimento (ad esempio cautelare) in sede penale e l’emissione dell’informativa ad effetto interdittivo.

Quanto ai criteri che l’autorità prefettizia deve seguire nel condurre il suddetto apprezzamento e nel valutare il grado dimostrativo degli elementi sintomatici della permeabilità mafiosa da porre a fondamento del provvedimento interdittivo, possono considerarsi ormai consolidate talune posizioni interpretative emerse nella giurisprudenza amministrativa.

In primo luogo, ai fini dell’adozione dell’informazione è necessario che sia dimostrata non già l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata.

Ai sensi dell’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, invero, a fondamento del provvedimento interdittivo va posto l’accertamento della sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.

Il successivo art. 91, comma 5, analogamente stabilisce che: “Il prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa… A tal fine, il prefetto verifica l’assenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’articolo 67, e accerta se risultano elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche attraverso i collegamenti informatici di cui all’articolo 98, comma 3. Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

Come è stato sostenuto, eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, sicché non è necessario un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio – tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove – essendo sufficiente una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere più probabile che non, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

  1. Tutto ciò premesso, nel caso di specie, l’impugnato provvedimento di informazione antimafia, seppure testualmente emanato ai sensi e per gli effetti dell’art. 84, comma 3, e 91 comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non è sorretto da alcuna prognosi di condizionamento mafioso rispetto alle scelte e gli indirizzi della società ricorrente, ed è invece fondato sulla sola applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni uno a carico di -OMISSIS- per fatti che non risulta (il dato invero non è oggetto di contestazione fra le parti) abbiano attinenza con i fenomeni di criminalità mafiosa cui ha riguardo la lettera e la ratio degli artt. 84, comma 3, e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011.
  2. Pertanto, nel caso di specie, la presunta fittizietà del trasferimento delle quote societarie, tesa a mascherare la continuità della gestione dell’impresa da parte di -OMISSIS-, in mancanza di alcun collegamento tra il comportamento delittuoso di quest’ultimo e il fenomeno mafioso, non poteva valere ai fini ai fini dell’adozione di una informativa interdittiva antimafia ai sensi e per gli effetti degli art. 84, comma 3, e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011.

Il Prefetto di Livorno, dunque, sembra aver sovrapposto, ad una fattispecie astrattamente riconducibile alla comunicazione antimafia, il potere discrezionale proprio dell’informazione antimafia senza però giustificarne la causa.

  1. In particolare, nella fattispecie, in mancanza della riabilitazione di -OMISSIS- ai sensi dell’art. 70 del Codice antimafia, potrebbe eventualmente ed astrattamente essere emessa una comunicazione antimafia interdittiva nei confronti della società -OMISSIS- ai sensi degli artt. 84, comma 2, e 88 comma 3, del Codice antimafia, della quale però, in sede di eventuale riedizione del potere (vincolato), andranno attentamente verificati i presupposti, specie alla luce del già richiamato comma 4 dell’art. 67 (in tema di estensione alla società degli effetti della misura di prevenzione applicata a chi è in grado di determinarne gli indirizzi) e del successivo articolo 68, secondo cui:

1. Il tribunale, prima di adottare alcuno dei provvedimenti di cui al comma 4 dell’articolo 67, chiama, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento le parti interessate, le quali possono, anche con l’assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione. Ai fini dei relativi accertamenti si applicano le disposizioni dell’articolo 19.

  1. I provvedimenti previsti dal comma 4 dell’articolo 67 possono essere adottati, su richiesta del procuratore della Repubblica di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, del direttore della Direzione investigativa antimafia, o del questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione. Sulla richiesta provvede lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione, con le forme previste per il relativo procedimento e rispettando la disposizione di cui al precedente comma”.
  2. Ne consegue che, per tali assorbenti ragioni, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato unitamente alla consequenziale comunicazione ANAC, fatto salvo, tuttavia, l’accertamento della sussistenza, a carico della società ricorrente, delle cause di decadenza, sospensione o di divieto di cui all’ art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.
  3. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, annulla l’informativa interdittiva antimafia impugnata e la conseguenziale comunicazione ANAC.

Condanna la Prefettura di Livorno a rimborsare le spese di lite alla società ricorrente, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 oltre oneri accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle persone citate nella sentenza.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Giani, Presidente

Giovanni Ricchiuto, Consigliere

Nicola Fenicia, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Nicola Fenicia Riccardo Giani

IL SEGRETARIO

 

 

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