Guglielmo Saporito

Filippo Di Mauro

I giudici amministrativi confermano le agevolazioni per chi patteggia in sede penale, escludendo automatismi in altri procedimenti amministrativi. Lo afferma il Consiglio di Giustizia amministrativa (28 giugno 2023, n. 209, Pres. De Francisco, Est. A. Caleca) sospendendo una procedura antimafia. Dal 30 dicembre 2022 (entrata in vigore della riforma Cartabia, D.lgs. 150 / 2022) le pubbliche amministrazioni, che devono selezionare concorrenti in gare o adottare sanzioni (ad esempio, disciplinari), non possono più limitarsi a richiamare sentenze di patteggiamento. Infatti, l’art. 445, co. 1-bis, cod. proc. pen. (modificato dall’art. 25 del D.lgs. 150 / 2022) neutralizza  gli effetti negativi dei patteggiamenti stessi. Le sentenze di chi ammette il proprio coinvolgimento, patteggiando la pena, non sono più utilizzabili quali elementi di prova nei giudizi civili, amministrativi, tributari, disciplinari e contabili. Il solo patteggiamento, in altri termini,  non è più elemento probatorio che possa far attivare sanzioni amministrative o provvedimenti di esclusione da procedure di gara.

Fino al dicembre 2022, le sentenze patteggiate erano prive di effetti vincolanti su accertamenti diversi da quelli penali, ma rappresentavano comunque una consistente fonte di prova per la successiva adozione di sanzioni (ad esempio, disciplinari, edilizie, tributarie): accadeva quindi che in sede penale, in cambio di una riduzione di pena, l’imputato accettava di patteggiare, ma rimaneva poi esposto a serie conseguenze in altri settori, quali quello  civile (per danni), amministrativi (sanzioni) e tributari. Ciò perché si riteneva che il patteggiamento della pena costituisse un’ammissione di colpevolezza, a meno che non si dimostrasse un serio motivo che avesse indotto a patteggiare (Cass. civ., 16505 / 2019).

Oggi, invece, se l’Amministrazione viene a conoscenza di un reato patteggiato, non può desumere da tale sentenza un elemento di prova: occorrono invece autonomi accertamenti,  in contraddittorio, su ciò che è stato patteggiato, ed in mancanza di tali approfondimenti non si possono adottare sanzioni.Tale innovazione interessa anche il nuovo Codice degli appalti (D.lgs. 36 / 2023), che tratta espressamente dei patteggiamenti in sede di partecipazione a gare. Il patteggiamento non è causa di esclusione automatica, ma è mezzo di prova di condotte che integrano un grave illecito professionale (art. 98); ossia, il nuovo Codice collega il patteggiamento ad una condotta che, se dimostrata, lede l’affidabilità ed integrità dell’operatore economico. Se non vi fosse la legge Cartabia (ed in particolare l’art. 445-bis c.p.p.), i reati patteggiati rientrerebbero quindi (art. 98, co. 3 e 6, che innova l’art. 80, co. 5, D.lgs. 50 / 2016)  tra le cause di esclusione da gare pubbliche, generando un concreto rischio per chi patteggia. Tuttavia, dopo l’entrata in vigore della Cartabia (30.12.2022), il patteggiamento “non ha efficacia” né può essere “utilizzato dall’Amministrazione” per desumere una condotta professionale illecita di chi ha patteggiato. Con l’entrata in vigore del codice appalti, il 1 luglio, imprese ed enti  dovranno quindi tener presente che la sentenza patteggiata non è più un mezzo di prova adeguato a dimostrare la gravità dell’illecito: anche se il reato e’ grave (416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso) l’amministrazione dovra’reperire gli elementi di prova che la convincano, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, della rilevanza dei fatti e della piena responsabilità dell’impresa che ha patteggiato. Senza tali approfondimenti, l’Amministrazione non può escludere da gare l’impresa che ha patteggiato.

 

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