Guglielmo Saporito
Filippo Di Mauro
Rilevanti novità per chi patteggia in sede penale, subendo conseguenze in procedimenti amministrativi. Lo afferma il Consiglio di Giustizia amministrativa (15 maggio 2023, n. 149, Pres. De Francisco, Est. A. Caleca) sospendendo una procedura antimafia. Dal 30 dicembre 2022 (entrata in vigore della riforma Cartabia, D.lgs. 150 / 2022), la Prefettura non può più limitarsi a richiamare sentenze di patteggiamento su reati “spia” (quali riciclaggio, usura, estorsione, turbativa d’asta) a carico di amministratori, dipendenti, familiari o frequentatori dell’impresa, desumendone prove di infiltrazione mafiosa. Nel caso specifico esaminato, è stata sospesa un’ interdittiva antimafia emessa a carico di un imprenditore che aveva patteggiato un “favoreggiamento”, coprendo l’attività di un soggetto mafioso.
L’ordinanza dei giudici amministrativi applica la nuova disposizione (445, co. 1-bis, cod. proc. pen., modificato dall’art. 25 del D.lgs. 150 / 2022) e neutralizza gli effetti negativi dei patteggiamenti: le sentenze di chi patteggia non sono più utilizzabili quali elementi di prova nei giudizi civili, amministrativi, tributari, disciplinari e contabili, quindi un reato patteggiato non è più elemento probatorio che possa far attivare sanzioni amministrative (quali, appunto, l’interdittiva antimafia).
Fino al 29 dicembre 2022, le sentenze patteggiate rappresentavano una fonte di prova per l’adozione di sanzioni (ad esempio, disciplinari, edilizie, tributarie): accadeva, quindi, che in cambio di una riduzione di pena, l’imputato patteggiasse la vicenda penale, ma rimanesse poi esposto alle varie conseguenze nei settori civili (per danni), amministrativi e tributari. Ad esempio, era stata ritenuta legittima l’interdittiva antimafia emessa in seguito a sentenza patteggiata dal socio di maggioranza di un’impresa per il reato di traffico illecito di rifiuti (Consiglio di Stato, 515 / 2019). Ciò perché si riteneva che il patteggiamento della pena costituisse un’ammissione di colpevolezza, a meno che non si dimostrasse un serio motivo (diverso dall’ammissione di responsabilità) che avesse indotto a patteggiare (Cass. civ., 16505 / 2019).
Oggi, invece, se l’Amministrazione viene a conoscenza di un reato patteggiato, non può desumere da tale sentenza (che teoricamente è un’ammissione di colpevolezza) un elemento di prova, ma deve compiere gli accertamenti che sarebbero spettati al giudice penale e convincersi che il comportamento illecito di chi ha patteggiato sia provato. Oggi occorrono quindi autonomi accertamenti, in contraddittorio, su cio’ che e’ stato patteggiato, ed in mancanza di tali approfondimenti non si possono adottare sanzioni.
Vi sarà, dunque, un aggravio per le amministrazioni e, ad esempio, per Prefetture, che in materia antimafia non potranno più automaticamente collegare ad un patteggiamento su estorsione (reato “spia” , per l’art. 84 D.lgs. 159 / 2011) un giudizio di permeabilità mafiosa.
L’entrata in vigore della riforma Cartabia (D.lgs. 150 / 2022) elimina, quindi, automatiche conseguenze delle sentenze patteggiate, e ciò non solo nell’antimafia ma anche in altri settori: non sarà più possibile, ad esempio, utilizzare la sentenza patteggiata come prova della responsabilità contrattuale del datore di lavoro per un infortunio in cantiere (Cass. 29769 / 2022) oppure come prova per addebitare la separazione a carico del coniuge (Cass. 40796 / 2021). Del resto, anche il Codice degli appalti dal luglio 2023 esclude (art. 96 D.lgs. 36 / 2023, che innova l’art. 80 del D.lgs. 50 / 2016) che le condanne patteggiate possano impedire la partecipazione a gare, declassando ciò che è stato patteggiato e obbligando l’ente appaltante a motivare approfonditamente sulla vicenda patteggiata. In termini sintetici, i patteggiamenti non sono più un sinonimo di condanna, perche’ ne scompaiono gli effetti.
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