Guglielmo Saporito
Filippo Di Mauro
La prevenzione antimafia, con i controlli ivi previsti, consente di cogliere il diffondersi di schemi di “collaborazione” (compliance) per la mitigazione di rischi. I vantaggi del controllo giudiziario sono stati subito intuiti, grazie alla norma che fa scaturire dall’ammissione al controllo giudiziario un’automatica sospensione degli effetti interdittivi antimafia. Forte di tale esperienza, il legislatore ha esteso la logica dei controlli preventivi ad altre procedure, fortemente invasive sull’economia, quali il riciclaggio, la corruzione e l’elusione fiscale, che oggi hanno un sistema di “collaborazione” nella fase antecedente l’accertamento dell’illecito. Ciò in particolare perché si è compreso che i provvedimenti meramente repressivi (sequestri, confische, e gli stessi commissariamenti) rischiano di danneggiare il tessuto socio economico, compromettendo il recupero e la bonifica delle attività imprenditoriali. Si è quindi estesa, mutuandola appunto dai controlli antimafia, la tecnica della collaborazione, favorendo forme di organizzazione e gestione trasparente dell’impresa, al fine di garantire il recupero e l’affidabilità dell’azienda.
La procedura è schematica: in una fase antecedente l’emanazione di provvedimenti strettamente repressivi, si inserisce un periodo di controllo di durata variabile (dai 6 mesi dell’antimafia prefettizia ai 2 anni del controllo del magistrato penale), fase che viene poi imitata anche nelle procedure di esdebitazione e negli accertamenti fiscali. Non si tratta di una mera applicazione del principio del contraddittorio ex lege 241, bensì di un periodo di effettivo tutoraggio che consente all’Amministrazione di verificare il reale rischio di comportamenti errati da parte delle imprese.
Il meccanismo è quello del D.Lgs. 231/2001, che ha inserito sistemi di valutazione e controllo, affidati a professionisti indipendenti.
Di recente, poi, vi e’ una valorizzazione dei modelli 231 nel Codice degli appalti (artt. 94-98 D.lgs. 36/2023), che induce le imprese a dotarsi – anche in sede di gara – di schemi di organizzazione aziendale per documentare la propria affidabilità.
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Oggi, i modelli di compliance ex D.Lgs. 231/2001 si allargano e coinvolgono professioni eterogenee: ai loro Ordini e Collegi è affidata poi la codificazione delle procedure di verifica del grado di rischio che può aleggiare intorno un’impresa.
Infatti, le P.A. (ad esempio, le Prefetture) non sono dotate di figure specifiche di controllori, con la conseguenza che occorre appoggiarsi a soggetti esterni “asseveratori”. Con l’esperienza della 231/2001, è già una realtà quotidiana la collaborazione di commercialisti con magistrati penali (giudici delle misure di prevenzione, art. 34 bis D.Lgs. 159/2011), cui si è aggiunta la collaborazione prevista dall’art. 94 bis del D.Lgs. 159/2011 (introdotto nel 2021) e quella dei notai nelle verifiche di antiriciclaggio (Delibera Consiglio nazionale del notariato 28 aprile 2023).
I nuovi operatori che collaborano con lo Stato sono quindi i professionisti ed i loro Ordini, questi ultimi legittimati (art. 11 D.Lgs. 231/2007) a forgiare norme di comportamento non più genericamente deontologiche per i professionisti cogenti per le imprese. Le nuove professioni forgiate da questa esternalizzazione dei controlli sono di matrice economico-aziendale, e non deve meravigliare la forte apertura verso le categorie degli esperti contabili, in quanto, nell’antimafia e nell’esdebitazione, nell’antiriciclaggio e nell’anticorruzione, vi è un’identica necessità di indagare sulle capacità dell’impresa di ritorno alla normalità. In altri termini, i problemi di un’impresa in dissesto economico non si differenziano di molto dai problemi che deve affrontare un’impresa soggetta alle lusinghe delle infiltrazioni mafiose, del riciclaggio o degli illeciti tributari.
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In parallelo, occorre formare e specializzare ceti professionali che siano in grado di evitare infortuni (in negativo: infiltrazioni, dissesti) e certificare risultati (in positivo: immunità, produttività), cioè ad esempio assegnando anche rating positivi.
Ciò significa che vanno lette congiuntamente le norme sull’antiriciclaggio, sugli adempimenti fiscali collaborativi, i modelli di governance 231, i rating di legalità (AGCM) e le procedure di esdebitazione.
Lo stesso legislatore, del resto, prende atto della necessaria collaborazione con i professionisti: il decreto legge 10 agosto 2023 n. 105 (conv. in L. 9 ottobre n. 937), intendendo arginare rischi di contaminazione delle pubbliche gare di appalto, non inasprisce le pene, ma applica un dettagliato sistema di controlli, chiamando in causa i professionisti. Questi ultimi infatti sono tenuti ad applicare specifici sistemi di controllo interno. In particolare, il legislatore dell’agosto 2023 individua come “reati presupposti” ex lege 231 (reati che cioè generano responsabilità dell’impresa), i comportamenti di turbata libertà degli incanti e di alterazione nella scelta dei contraenti (artt. 353 e 353 bis c.p.).
Ciò significa che il legislatore, volendo combattere le indebite interferenze su gare pubbliche, non ha inasprito le pene, ma ha esteso la platea dei soggetti responsabili di accertamenti preventivi. Tali soggetti, in quanto operatori qualificati (professionisti) non possono trincerarsi dietro il paravento dell’ignoranza, ma dovranno applicare specifiche linee guida (ad esempio, su come evitare fondi neri, inopportune frequentazioni, spese immotivate, operazioni in perdita).
E non vi saranno solo linee guida, ma anche banche dati dei soggetti a rischio e delle operazioni sospette, banche dati affidate agli ordini professionali (art. 34 bis del D.Lgs. 231/2017, introdotto nell’ottobre 2023).
Si passa cosi’ dalle banche dati “interforze” (spesso meri elenchi di circostanze remote, fosche ma poco significative) ad elenchi dettagliati e aggiornati (cd. tassonomie) di comportamenti virtuosi o vietati. In questo modo i controlli giudiziari ex art. 34 bis e prefettizi ex 94 bis D.Lgs. 159/2011 per verificare le prospettive di impermeabilizzazione mafiosa delle imprese, si allineano ai controlli sulla esdebitazione, sull’antiriciclaggio e sulla correttezza fiscale.
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Per realizzare tutto ciò, un forte ausilio può venire dall’intelligenza artificiale e cioè dalla capacità di immagazzinare ed elaborare dati. In tal modo l’Amministrazione fiscale può collaborare con le Prefetture e gli altri Dicasteri coinvolti.
Certo, non mancheranno, specie nel momento iniziale, i contrasti tra controllori, come già è avvenuto quando un controllo giudiziario affidato dal magistrato penale delle misure di prevenzione si conclude in senso favorevole alla continuità aziendale, mentre la Prefettura, sulla base di accertamenti “interforze”, ritiene ancora palpabile il rischio di infiltrazione mafiosa.
Un contrasto del genere è prevedibile solo nel momento iniziale, come è avvenuto nella vicenda decisa dal Cass. civile 39231/2021 (sul contrasto tra amministratori di una società ed amministratori giudiziari).
Terminato il rodaggio, i controlli giudiziari, quelli amministrativi ex lege 231/2001, quelli prefettizi e gli altri che verranno, troveranno un reciproco equilibrio e solleveranno la magistratura amministrativa dall’onere di giudicare, per di più spesso in sede cautelare, della vita economica delle imprese.
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