Sicurezza pubblica – Antimafia – Informativa interdittiva – Controllo giudiziario – Presupposti – Sindacabilità – Limiti.

Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELTRANI   Sergio        –  Presidente   –

Dott. CIANFROCCA Pierluig –  rel. Consigliere  –

Dott. FLORIT     Francesco     –  Consigliere  –

Dott. SARACO     Antonio       –  Consigliere  –

Dott. LEOPIZZI   Alessandro    –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PRO.CO.GEST. s.r.l., in persona del legale rappresentante;

contro il decreto della Corte di appello di Napoli del 10.1.2023;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa GIORGIO Lidia, che ha

concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio

per nuovo giudizio.

 

RITENUTO IN FATTO

  1. La Corte di appello di Napoli ha respinto il ricorso in appello che era stato proposto contro il provvedimento adottato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 27.1.2022 che aveva rigettato la richiesta, formulata dalla PRO.CO.GEST. s.r.l., di applicazione del controllo giudiziario ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, comma 6;
  2. ricorre per cassazione la PRO.CO.GEST. s.r.l. deducendo:

2.1 violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, error in procedendo, omessa pronuncia, deficit assoluto del requisito della attualità del pericolo di contaminazione con il clan Z.: segnala come la giurisprudenza abbia sempre ribadito che la valutazione della natura del pericolo di contaminazione deve passare attraverso al verifica della persistenza dei legami con il soggetto condannato ed il contesto mafioso di riferimento che rappresentano il presupposto del carattere perdurante della contaminazione; rileva che, da questo punto di vista, il decreto impugnato è assolutamente carente in punto di accertamento della attuale contiguità del P. con organizzazioni di stampo camorristico limitandosi ad evocare la condanna del predetto quale partecipe del clan Z. svilendo il dato della perimetrazione cronologica della affiliazione e del suo sostanziale allontanamento dal clan, elementi del tutto ignorati e che avrebbero invece dovuto portare ad escludere la pericolosità del P. in termini di “attualità” anche supponendo una immedesimazione del predetto con la società ricorrente;

2.2 violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, error in procedendo, deficit assoluto del requisito del condizionamento strutturato e perdurante degli attuali organi della società ricorrente ad opera di organizzazioni di stampo camorristico: osserva che, nel disattendere le doglianze difensive, la Corte di appello è incorsa in plurimi errori di diritto; richiama, a tal proposito, la giurisprudenza di legittimità che, in casi analoghi, ha ritenuto necessario verificare il carattere perdurante del pericolo di infiltrazione che, nel caso di specie, è pacificamente insussistente; aggiunge che la Corte non ha potuto contestare che nel corso della amministrazione giudiziaria non erano emersi fenomeni di intestazione fittizia, la assenza di ingerenze dei coniugi P.- G. e, inoltre, le nomine del nuovo amministratore e dell’OdV; sottolinea che, pertanto, la affermazione della Corte si risolve in una mera illazione non tenendo conto della azione di denuncia messa in atto tra l’aprile ed il maggio del 2022 dai nuovi organi societari;

  1. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato: richiama la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla nozione di “occasionalità” del rischio di infiltrazione e condizionamento su cui deve ricadere la verifica del giudice della prevenzione spiegando che, nel caso di specie, la Pro.Co.Gest. s.r.l. aveva ottenuto la informativa antimafia liberatoria all’esito della gestione da parte di due amministratori giudiziari protrattasi dal 2014 al novembre 2019 e che non può darsi rilievo, ai fini che interessano, alla revoca del sequestro preventivo disposto sulle quote della detta società, conseguente anche all’assoluzione nel 2019 di P.B. e della moglie convivente G.R. dai delitti L. n. 356 del 1992, ex art. 12 quinquies e art. 648-bis c.p., stante la condanni in primo grado del P. per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p.; segnala, in ogni caso, come il provvedimento impugnato – e la stessa interdittiva – non abbiano tenuto conto della nomina di un nuovo amministratore, oltre che di un organo di vigilanza su iniziativa della società, quali fattori di rilievo ai fini del giudizio prognostico sulla bonificabilità, fermi restando l’assetto societario e la sede della società, correttamente qualificati dalla Corte di Appello come indici di persistente legame tra il soggetto portatore della pericolosità e l’azienda; osserva, ancora, come il provvedimento impugnato non abbia tenuto conto dell’allontanamento del P. da ambienti delinquenziali in conseguenza del suo “tradimento” e della assenza di elementi concreti sintomatici del contrario dovendosi – in caso di contiguità “parentale” – comunque operare una valutazione che avrebbe dovuto tener conto di tutti i fattori richiamati dalla Corte di Appello onde verificare la esistenza dei presupposti di emendabilità della riscontrata situazione ad opera, ed attraverso, il meccanismo invocato suscettibile, nei casi dubbi, di rappresentare lo strumento idoneo a favorire una migliore conoscenza della realtà aziendale, in funzione dell’individuazione della misura di prevenzione più adeguata al caso di specie (in questo senso, in motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure non consentite in questa sede.

E’ noto che il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 6, è impugnabile con ricorso alla Corte di appello anche per il merito (cfr., Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156 – 01) nei confronti della cui decisione è consentito il ricorso per cassazione solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili i limiti di deducibilità di cui all’art. 10, comma 3, e art. 27 del medesimo decreto (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 34856 del 06/11/2020, Biessemme s.r.l., Rv. 279982 – 01, conf., Sez. 2 -, n. 18564 del 13/02/2019, Consorzio Sociale Coin Società Cooperativa Sociale, Rv. 275419 – 01, in cui la Corte ha chiarito che il provvedimento di rigetto della richiesta di controllo giudiziario formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, comma 6, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 127 c.p.p., comma 7, il cui oggetto può concernere esclusivamente la ricorrenza di eventuali illegittimità del procedimento ex art. 34-bis D.Lgs. citato, ovvero l’errata valutazione dei presupposti di legge per ammettere il controllo giudiziario, e non anche l’illegittimità delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto, la cui valutazione resta riservata alla competenza della giustizia amministrativa in sede di ricorso giurisdizionale).

La ricorribilità per cassazione esclusivamente per violazione di legge (alla stregua di quanto già disposto dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3-ter, comma 2, e, oggi, dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3, e art. 27, comma 2) esclude dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta ovvero della contraddittorietà della motivazione, di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello, esclusivamente il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr., Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01, laddove, in motivazione, la Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; conf., più recentemente, Sez. 2 -, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435 – 01, in cui la Corte ha chiarito che nel procedimento di prevenzione, anche il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge).

  1. La Corte di appello di Napoli ha respinto il gravame proposto contro il decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed in cui la società odierna ricorrente aveva insistito sul carattere occasionale del pericolo di infiltrazione camorristica rilevando che il collaboratore di giustizia C.M. (arrestato nel 2006 proprio a causa della denuncia sporta da P.B.) aveva riferito che l’accordo illecito che aveva visto protagonista il P. (coniuge della titolare della società), ed era stato alla base della condanna di costui per associazione di stampo mafioso, era intervenuto nel 2002 e che, in ogni caso, il rapporto privilegiato del P. sussisteva, semmai, con ” F.” Z., morto nel (Omissis), anno in cui lo stesso Z.M. era stato tratto in arresto e gli imprenditori iniziarono a sporgere denuncia; la difesa aveva segnalato che i lavori illecitamente acquisiti tramite i “contatti” tra il P. ed il clan Z. ammontavano a 3 milioni di Euro circa a fronte dei 65 milioni di Euro di lavori eseguiti tra il 1979 ed il 2021.

Sotto altro profilo, aveva sostenuto la difesa, il Tribunale non aveva preso in considerazione le procedure di self cleaning adottate dalla società al momento della revoca del sequestro preventivo delle quote che, peraltro, attraverso la nomina di un amministratore giudiziario aveva impedito qualsiasi forma di “contaminazione”.

  1. Nel confermare la decisione del Tribunale, la Corte di appello ha sostenuto che la Pro.Co.Gest. s.r.l. e’, di fatto, da identificabile nella persona di P.B.: nata nel 1979 come ditta individuale, essa era divenuta, nel 2000, P. Costruzioni s.r.l. e, nel 2004, Pro.Co.Gest. s.r.l., ribadendo che il P. risulta condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. per aver fatto parte del gruppo di Z.M. nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2011 avendo ottenuto, tra il 2002 ed il 2013, appalti per il ciclo integrato delle acque per 3 milioni di Euro versandone una percentuale al clan.

I giudici napoletani non hanno mancato di considera-e che, nel 2016 il P. (che dal 2004 era soltanto un dipendente), era stato allontanato definitivamente dalla società le cui quote, tuttavia, sono detenute, per il 10%, dalla moglie e, per il resto, dalla VIR Immobiliare s.r.l., che, a sua volta, partecipa per il 50% alla Tu.Ri.Cost. s.r.l., con sede in (Omissis) (presso lo stesso indirizzo della Pro.Co.Gest. s.r.l.) di cui il P. è amministratore, ed hanno sostenuto che i legami del prevenuto con la società sono “astrattamente” persistenti poiché “… l’assenza di un formale ruolo del P. nella società rende il legame stesso ancor più subdolo e incontrollabile” (cfr., pag. 5).

Hanno sostenuto che il pericolo di contaminazione è indipendente dalla entità dei lavori procurati con il favore di rapporti illeciti negli anni dal 2011 al 2013 poiché “… è già il fatto in sé del condizionamento mafioso che, se si consentisse attività contrattuale con la P.A., sarebbe idoneo a ledere l’ordine pubblico economico, la libera concorrenza tra le imprese ed il buon andamento della pubblica amministrazione, indipendentemente dall’entità dei profitti effettivamente ricavati” (cfr., ivi, pag. 6).

La Corte di appello ha perciò concluso nel senso che “… i nessi… all’evidenza non possono dirsi meramente occasionali ma strutturali ed endemici, a nulla rilevando l’epoca di accertamento dei fatti concretamente accertati… a carico del P…. costituenti l’avveramento del rischio di contaminazione” (cfr., pag. 3), con la conseguenza che la situazione emersa e delineata nel provvedimento prefettizio “… fa escludere nettamente la ricorrenza del requisito dell’occasionalità del condizionamento criminale… necessario per il ricorso all’invocato controllo giudiziario e, per altro verso, preclude in radice l’esame della possibilità di ipotizzare un riallineamento della società con il contesto economico sano, step valutativo successivo” (cfr., ivi, pag, 4).

  1. La decisione non si presta a rilievi di violazione di legge che, come si è visto, sono gli unici suscettibili di essere spesi in questa sede.

Si è chiarito che, in materia di misure di prevenzione, quando sia formulata richiesta di controllo giudiziario, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 1, su iniziativa della parte pubblica, la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione, in funzione di un controllo c.d. prescrittivo, mentre nel caso di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva, che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti del a tutela dell’ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l’esercizio dell’impresa (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906 – 02; conf., Sez. 6, n. 30168 del 07/07/2021, Gruppo Samir Global Service s.r.l., Rv. 281834 – 02).

Rileva il collegio che siffatta valutazione non è affatto mancata: già il Tribunale aveva preso in esame la creazione di una nuova struttura di vigilanza e la nomina quella di un nuovo rappresentante legale, individuati in soggetti con una “storia istituzionale” di tutto rispetto, avendo tuttavia ritenuto che queste innovazioni societarie fossero inidonee a porre l’ente al riparo da tentativi di infiltrazione che ha giudicato persistenti e non meramente occasionali (cfr., pag. 8 del decreto del Tribunale).

Vero che, con l’atto di appello (cfr., pagg. 13 e ssgg.), la difesa aveva insistito, invece, sulla idoneità del modello gestionale prescelto a porre l’ente al riparo da tentativi di condizionamento esterno e, in definitiva, a valutarne la “effettività” dell’operato di “self-cleaning”.

E, tuttavia, il provvedimento impugnato non ha affatto ignorato tali rilievi e, nel condividere la diagnosi operata dal Tribunale, ha ribadito che la situazione delineatasi alla luce delle informative acquisite era tale da non consentire una diagnosi positiva in termini di “bonificabilità” dell’ente pur tenendo conto del mutamento dell’assetto dirigenziale.

Si tratta, com’è evidente, di una valutazione di cui si può discutere la congruità o la esaustività ma che, tuttavia, non può essere oggetto di censura sotto il profilo della violazione di legge.

  1. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., della somma – che si stima equa – di Euro 3.000, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2023

 

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