Cass. pen., sez. I, sentenza 11 aprile 2023, n. 15156; Pres. M.Boni, Est. D.Magi.
Contratti pubblici – Informativa interdittiva – Ammissione al controllo giudiziario – Requisiti.
Contratti pubblici – Informativa interdittiva – Parentela – Familiare considerato socialmente pericoloso – Costituisce elemento di rischio di permeabilità mafiosa – Ragionamento congetturale – Insufficienza – Ingerenza nell’attività economica – Deve essere valutata in concreto – Cassa con rinvio il diniego di ammissione al controllo.
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONI Monica – Presidente –
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere –
Dott. MANCUSO L.F.A. – Consigliere –
Dott. MAGI Raffael – rel. Consigliere –
Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M&M SERVIZI S.R.L.;
avverso il decreto del 18/03/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI;
lette/salati-te le conclusioni del PG che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
udito il difensore.
RITENUTO IN FATTO
- Con decreto emesso in data 18 marzo 2022 la Corte di Appello di Catanzaro in procedura di prevenzione – ha respinto l’appello introdotto da M&M Servizi srl, (a mezzo del legale rappresentante M.D.) avverso il diniego di ammissione al controllo giudiziario su domanda D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 34bis, comma 6, (provvedimento emesso dal Tribunale di Catanzaro in data 15 novembre 2021).
1.1 La prima decisione di rigetto (emessa dal Tribunale), in presenza di informazione interdittiva emessa dal Prefetto e di domanda di ammissione ai controllo, si basa sulla constatazione di “stabile condizionamento mafioso” derivante dalla influenza sulla attività di impresa di M.S. (nonno di M.D.). Costui è stato ritenuto in altri procedimenti soggetto contiguo a cosche di ‘ndrangheta e le imprese “familiari” sono state ritenute tutte inserite in una strategia unitaria, sì da escludere l’esistenza di una autonomia di azione in capo a M.D..
- Valutando le allegazioni della società appellante, la Corte di secondo grado ribadisce la natura ‘funzionale’ del condizionamento mafioso sulla impresa ed afferma, in sintesi, che:
- a) la società sarebbe gestita, di fatto da M.S. e non da M.D., poco più che ventenne;
- b) M.S. è stato raggiunto nel 2018 da un decreto di confisca di una ‘galassia societaria in cui venivano investiti proventi di attività illecite ed ha per anni intrattenuto rapporti con cosche di ‘ndrangheta;
- c) M.S., socia della M&M Servizi srl, è stata ritenuta nel precedente procedimento di prevenzione anch’essa una delle persone di cui si serviva M.S. per schermare i suoi interessi patrimoniali nelle società oggetto di confisca;
- d) nessun rilievo può essere attribuito alla revoca (ex nunc) della misura di prevenzione personale già applicata a M.S., proprio in ragione della accertata intensità del rapporto intrattenuto nel corso del tempo da costui con esponenti della cosca M..
- Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – M.D. quale legale rappresentante della M&M Servizi srl. Il ricorso è affidato a tre motivi, qui riprodotti nei limiti strettamente necessari per la motivazione della decisione ai sensi dell’art. 173 comma 1 disp. att. c.p.p.3.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione di legge e apparenza di motivazione.
Si pone l’accento, dopo ampia premessa in diritto, sul fatto che la revoca della misura di prevenzione personale nei confronti di M.S., è stata deliberata il 5 febbraio del 2014, anche in ragione della collaborazione prestata agli organi investigativi per l’accertamento di gravi reati commessi nel vibonese e nel lametino.
Dunque dal 2014 in avanti lo stesso M.S., non potrebbe essere considerato un soggetto portatore di pericolosità sociale.
Peraltro la decisione di revoca valorizza comportamenti collaborativi, ovviamente, antecedenti.
Da ciò la considerazione per cui erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto ininfluente la decisione di revoca della misura personale ed i tempi della medesima.
Se il legame tra l’impresa e le cosche mafiose è, come ipotizzato, nella possibile influenza di M.S., si tratta di una motivazione apparente, posto che è lo stesso Tribunale della Prevenzione ad aver ritenuto, da tempo, Salvatore Mazzei non portatore di pericolosità.
3.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e apparenza di motivazione.
In ogni caso, la difesa lamenta la sostanziale assenza di motivazione circa la pretesa ingerenza gestionale del M.S. sull’impresa, non essendo stato evidenziato alcun dato fattuale a sostegno di simile affermazione.
Non vi è stata analisi dei flussi di finanziamento, della contabilità, della attività aziendale e delle attività svolte in concreto da M.D., a fronte della assenza di pregiudizi di costei e della documentazione esibita.
L’affermazione è dunque meramente congetturale.
3.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge e apparenza di motivazione.
La erronea rappresentazione dell’assetto gestionale della società, si afferma, ha impedito la formulazione della prognosi di ‘bonificabilità della impresa, trattandosi al più di una agevolazione occasionale ma non certo strutturale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.
- Va premesso, anche nel caso che ci occupa ed in conformità a precedenti arresti di questa Corte (v. Sez. I n. 31831 del 22.4.2021) che il Tribunale delle Misure di Prevenzione è stato individuato dal legislatore come organo giurisdizionale cui spetta l’adozione – nelle diverse forme previste dalle disposizioni regolatrici – di provvedimenti tesi all’accertamento (momento cognitivo) ed al contrasto (momento dispositivo) di diverse situazioni di fatto correlate alla pericolosità sociale.
L’apprezzamento della pericolosità (attuale o pregressa) è l’in sé della misura di prevenzione.
La pericolosità è in primis considerata come condizione soggettiva, inerente alla persona fisica (D.Lgs. n. 159, artt. 1 e 4), lì dove le condotte pregresse tenute da un determinato individuo siano “inquadrabili” in una delle ipotesi tipiche (previste dalla legge e costituzionalmente valide perché rispondenti al parametro della tassatività descrittiva, come affermato nella decisione num. 24 del 2019 Corte Cost.) e possano in tal senso essere poste a base di una prognosi di pericolosità soggettiva attuale.
Ma la pericolosità è anche inquadrata come una forma di relazione tra una o più condotte individuali (contra legem) ed i beni patrimoniali riferibili ad un soggetto, o nel senso della avvenuta accumulazione, in forza delle ricadute di condotte vietate, di beni in capo al soggetto pericoloso (con neutralizzazione di simile relazione attraverso le tradizionali misure del sequestro e della confisca) o nel senso della strumentalizzazione di realtà economico/aziendali a fini di incremento o mantenimento di una condizione di potere ed influenza “di mercato” riconducibile alle finalità perseguite da gruppi criminali organizzati (in particolare di stampo mafioso, nel cui ambito la proiezione economica dell’agire rappresenta una delle finalità tipizzate nella previsione incriminatrice di cui all’art. 416 bis cod.pen).
Le necessità di contrasto alla pericolosità economica, in un sistema giuridico che ricollega le limitazioni di diritti (costituzionalmente protetti) ad una base legale appropriata ed a momenti cognitivi giurisdizionali, hanno dunque condotto il legislatore del 2017 (L. n. 161) ad incrementare, in sede di misure di prevenzione, la potenzialità applicativa degli strumenti rappresentati – in campo patrimoniale – dalla amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34) e del controllo giudiziario delle aziende (art. 34 bis), visti come modalità di intervento potenzialmente alternativo rispetto all’ordinario binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità.
In tal senso, va ribadito che le disposizioni contenute del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 34 e 34 bis, vanno ‘lette insieme’ in quanto rappresentano – nelle intenzioni del legislatore – un sistema con pretese di omogeneità, basato sulla necessità di diversificazione della risposta giudiziaria prevenzionale al fenomeno della “contaminazione” dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata.
La conferma della volontà del legislatore di creare forme di intervento diversificate – sulla base di valutazioni relative alla preliminare qualificazione del tipo di relazione intercorsa tra l’ente imprenditoriale, i suoi gestori ed il gruppo criminale – si ricava, a parere del Collegio, dal testo del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 20, in tema di sequestro, per come anch’esso risulta novellato ai sensi della L. n. 161 del 2017, art. 5.
In sede di proposta di sequestro – il che presuppone l’individuazione, da parte del soggetto pubblico proponente, di un soggetto portatore di pericolosità e di una relazione tra tale soggetto e uno o più beni – il Tribunale può ritenere sussistenti non già i presupposti tipici della misura richiesta (disponibilità dei beni in capo al portatore di pericolosità + sproporzione con il reddito di costui o relazione diretta tra attività illecita e beni sub specie frutto o reimpiego) ma, in alternativa, proprio quelli della amministrazione giudiziaria (art. 34) o del controllo giudiziario delle aziende (art. 34 bis), in tal senso ” conformando ex officio” l’esito della richiesta. Da ciò non soltanto si desume che le misure ‘alternative’ della amministrazione o del controllo risultano affidate al prudente apprezzamento del giudice di prevenzione investito da una domanda di sequestro, ma soprattutto che lo sforzo richiesto al Tribunale della Prevenzione è quello di realizzare – sia pure in prima approssimazione – una calibrata qualificazione della “relazione” intercorrente tra i beni in questione ed il soggetto indicato come portatore di pericolosità tipica.
A tal fine, lì dove non ci si trovi in presenza di una relazione definibile in termini di ‘avvenuto investimento da parte del soggetto pericoloso (del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione funzionale di una azienda al fine di consentire l’esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca) risulta possibile applicare le misure della amministrazione o del controllo, con graduazione della intensità dell’intervento giudiziario, in chiave di potenziale “recupero” dell’ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l’esistenza:
- a) di una coartazione di volontà o di una agevolazione stabile (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall’azienda verso persone portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento della attività economica, ai sensi dell’art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico);
- b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa (l’agevolazione è occasionale, dunque ‘non perdurante’) con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis, consistente in una sorta di ‘vigilanza prescrittivà, nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni controllo ed eventuali prescrizioni).
2.1 Dunque la qualificazione preliminare della relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda determina la scelta della tipologia di misura in funzione, essenzialmente, dei diversi scopi assegnati dal legislatore alle medesime.
E’ evidente, infatti, che mentre l’amministrazione ed il controllo mirano essenzialmente – ad un ripristino funzionale dell’attività di impresa – una volta ridotta l’ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità – il sequestro deriva da una constatazione di pericolosità del soggetto che gestisce l’attività economica e mira alla recisione del nesso tra persona pericolosa e beni.
Ed è anche necessario evidenziare che una volta adottate le misure del controllo o della amministrazione giudiziaria il Tribunale della Prevenzione, anche in esito alle verifiche disposte nel corso di tali misure, può mutare la prima qualificazione e transitare in una tipologia prevenzionale diversa, adottando la misura più adeguata.
Ciò posto, la particolare misura di prevenzione del controllo delle aziende “su domanda” ai sensi dell’art. 34 bis comma 6 cod. ant. realizza – in tale ambito – una ulteriore sottopartizione con caratteri peculiari.
In presenza di un primo accertamento, a fini amministrativi, del “tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa” (art. 84 cod.ant.), è data all’impresa (che pure contesta il fondamento fattuale della interdittiva) la possibilità di adottare un percorso emendativo ricorrendo alla applicazione del controllo giudiziario su domanda.
Si configura in tal modo una alternativa rappresentata dalla “consegna” dell’impresa al Tribunale delle misure di prevenzione, il che comporta l’applicazione di penetranti strumenti di controllo della gestione, di verifica dei flussi di finanziamento, di comunicazione di situazioni di fatto rilevanti, nonché con eventuale obbligo di adottare misure organizzative idonee a prevenire il rischio di infiltrazione mafiosa (secondo il modello normativo di cui all’art. 34 bis comma 2 lett. b, unico applicabile al controllo volontario).
In simile contesto, va anche detto che non appare conforme al complessivo assetto legale dell’istituto – introdotto con L. n. 161 del 17 ottobre 2017, – ritenere che il controllo giudiziario su richiesta si configuri come un ‘beneficio per il solo effetto legale di sospensione delle inibizioni derivanti dalla informazione antimafia interdittiva, trattandosi di una “alternativa ” che realizza un diverso assetto di interessi (rispetto alla mera inibizione all’esercizio di determinate attività economiche) e che mira a recuperare, ove possibile, i profili di competitività ‘non inquinata della realtà aziendale ed a favorire un intervento del Tribunale della prevenzione asseverato da migliori conoscenze delle condizioni operative della singola impresa.
2.2 Da quanto sinora detto deriva che ad essere ostativa all’accoglimento della domanda di controllo volontario è, da un lato, la constatazione (da parte del Tribunale della prevenzione) della esistenza di una condizione di agevolazione “perdurante” dell’impresa a vantaggio di realtà organizzate, inquadrabili come realtà associative di stampo mafioso, se ed in quanto tale condizione – al momento della domanda di ammissione – renda negativa la prognosi di ‘riallineamento dell’impresa a condizioni operative di legalità e competitività.
Al contempo, è ostativa all’ammissione la constatazione di ‘assenza della relazione (anche pregressa) tra azienda ed organizzazione criminale esterna.
Tale assetto interpretativo deriva dai contenuti espressi dalla Sezioni Unite nel noto arresto ric. Ricchiuto del 2019 (sent. n. 46898/2019), secondo cui la verifica della condizione di fatto in cui si trova l’impresa richiedente va realizzata (sulla base delle fonti di conoscenza già emerse o allegate dalle parti in sede di udienza camerale) essenzialmente in chiave prognostica, nel senso della utilità o meno dello strumento oggetto di richiesta.
Ed invero la citata decisione Sez. U Ricchiuto così precisa la direzione della verifica giurisdizionale: (..) con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento – e in ciò la motivazione della citata sentenza n. 29487 della Prima Sezione promuove prospettive non del tutto sovrapponibili alle conclusioni qui prese- non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare l’presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa. La peculiarità dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L’accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta (..).
- E’ evidente pertanto che dopo le precisazioni espresse dalle Sezioni Unite di questa Corte nel citato arresto, la valutazione “autonoma” del Tribunale della prevenzione ai fini di cui all’art. 34 bis comma 6, pur basandosi sui contenuti della informazione prefettizia (e su eventuali allegazioni di parte) deve necessariamente individuare i presupposti fattuali cui l’art. 34 bis comma 1 ancora l’applicazione dell’istituto: a) l’esistenza di una relazione tra l’impresa ed i soggetti portatori di pericolosità qualificata; b) l’occasionalità delle forme di agevolazione tra la prima e l’attività dei secondi; c) la prognosi favorevole in termini di efficacia del controllo a scongiurare il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose.
In tale momento la “giurisdizionalità piena” del sistema della prevenzione esclude peraltro che il Tribunale possa considerare – sul punto della esistenza o meno della relazione sub a – intangibili le valutazioni espresse dall’organo di prevenzione amministrativa, fermo restando che la decisione emessa in sede di prevenzione
(in tal caso reiettiva) non tocca l’esistenza della informazione interdittiva prefettizia.
Vero è che in alcune pronunzie di questa Corte -che hanno ritenuto ammissibile la domanda di controllo anche nelle ipotesi in cui secondo il Tribunale della prevenzione non vi era alcuna agevolazione – il provvedimento amministrativo rappresenterebbe un ‘substrato intangibile’ della domanda dell’impresa (in tale direzione v. Sez. H n. 9122 del 28.1.2021; Sez. VI n. 30168 del 7.7.2021;) ma tale opzione interpretativa (peraltro non univoca, v. Sez. H n. 22083 del 20.5.2021; Sez. H n. 899 del 16.11.2022, dep.2023) non appare, secondo il Collegio, in linea con i contenuti di Sez. U Ricchiuto, finendo con imporre l’applicazione di una misura di prevenzione (il controllo giudiziario) anche nelle ipotesi in cui l’autorità giurisdizionale – nel suo proprio momento cognitivo – non ravvisi la primaria condizione fattuale del pericolo di condizionamento della attività di impresa.
3.1 Tutto ciò precisato, la motivazione espressa dalla Corte di Appello è da ritenersi apparente quanto alla individuazione – nel caso in esame – dello stabile condizionamento della attività di impresa.
Ciò perché la Corte di merito:
- a) non basa le proprie considerazioni circa la assenza di capacità gestionale in capo a M.D. su argomentazioni fattuali relative alla specificità dell’assetto aziendale, ma desume il dato storico (stabile ingerenza di M.S.) dalla ipotizzata riproposizione di un modus agendi constatato in occasione di una precedente procedura di prevenzione (conclusasi nel 2018 e relativa ad altre compagini societarie), in ciò offrendo un esempio di fallacia per generalizzazione, incompatibile con l’obbligo di verifica in concreto delle situazioni di fatto rilevanti per un qualsiasi giudizio;
- b) non tiene in debito conto la deliberazione con cui nel 2014 è stata ritenuta cessata la condizione soggettiva di pericolosità sociale dello stesso M.S., il che impone di ritenere il soggetto in questione – salva l’emersione di un novum probatorio – non già come il possibile ‘tramite’ tra l’azienda e le cosche mafiose ma, più semplicemente, come soggetto destinatario delle inibizioni e dei divieti di cui del Lgs. n. 159 del 2011, art. 67.
3.2 Come già osservato in un precedente arresto (Sez. I n. 31831 del 22.4.2021; v. anche Sez. VI n. 18265 del 31.3.2022), il condizionamento stabile della attività di impresa, in caso di familiari non conviventi ritenuti portatori di pericolosità, non può, pertanto, essere affidato alla presunzione semplice derivante dalla contiguità familiare. Ed invero, in tema di ricostruzione di un fatto, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti (tra le molte, Sez. VI n. 5905 del 29.11.2011, rv 252066). Si è ulteriormente precisato che è affetta dal vizio di illogicità e di carenza della motivazione la decisione del giudice di merito che, in luogo di fondare la sua decisione su massime di esperienza – che sono caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione – utilizzi semplici congetture, cioè ipotesi fondate su mere possibilità, non verificate in base all'”id quod plerumque accidit” ed insuscettibili, quindi, di verifica empirica (v. Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, rv 254572; Sez. I n. 18118 del 11.2.2014, rv 261992).
E’ evidente, dunque, che l’equazione tra rapporto familiare e comunanza degli interessi economici, in assenza di indicatori di conferma, ammette deroghe e finisce con il risultare meramente congetturale.
La pretesa massima di esperienza non è tale e non è dunque idonea a sostenere una valutazione di ‘rapporto di contaminazione perdurante’.
Sul piano giuridico, oltre ad essere violata la fondamentale esigenza per cui una ‘conseguenza negativa (diniego di una domanda) derivante da un apprezzamento di fatto, impone un sostegno dimostrativo adeguato a ciò che si afferma in ambito giurisdizionale, occorre riflettere sulla ragnatela normativa dei divieti derivanti dalla applicazione di una misura di prevenzione, allo scopo di apprezzare l’equilibrio legislativo che governa l’accertamento della condizione di pericolosità parentale.
Possono trarsi, in particolare, utili riferimenti interpretativi dal testo del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 67, disposizione che stabilisce le ricadute legalì delle misure di prevenzione.
In particolare, va rilevato che nel corpo dell’art. 67 comma 4 si afferma che.. i divieti e le decadenze (tra cui le inibizioni a svolgere determinate attività di impresa) operano anche nei confronti di conviventi o di imprese di cui la persona sottoposta alla misura di prevenzione… determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi.
E’ prevista – a fini di accertamento della condizione di influenza – una apposita procedura in contraddittorio ai sensi dell’art. 68.
Da tale assetto normativo può agevolmente dedursi che, esclusa la ipotesi della convivenza, le ricadute inibitorie dell’avvenuta applicazione di una misura di prevenzione (verso soggetti legati da relazioni al portatore di pericolosità) è correlata alla verifica in concreto della influenza del soggetto pericoloso sulla attività economica, nell’ambito di una procedura basata su fonti cognitive necessariamente specifiche.
Occorre pertanto la emersione di dati concretamente rappresentativi della esistenza di simile influenza, dal soggetto pericoloso verso l’impresa.
Tale aspetto, come si è evidenziato, finisce con essere eluso nella decisione impugnata, il che determina l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2023
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